L'acting out (in italiano chiamato anche agito) è l'espressione dei propri vissuti emotivi conflittuali attraverso l'azione piuttosto che con il linguaggio[1]. Il soggetto si comporta in modo poco riflessivo, senza considerare le possibili conseguenze negative delle sue azioni. In psicoanalisi è considerato come un tentativo di scarica della tensione emotiva, ottenuta mediante una reazione alla situazione attuale, come se fosse questa la causa scatenante (il conflitto interno)[2].
In alcuni soggetti esso si presenta come il tratto dominante della personalità e contraddistingue il modo di relazionarsi agli altri[3].
Il termine venne usato la prima volta da Freud nel 1914 per indicare "comportamenti ripetitivi o non che venivano emessi dai pazienti al di fuori delle sedute terapeutiche"[4].
Questa è la concezione dell'acting out che Lacan propone fin dai primi seminari, all'inizio degli anni '50, e che non modificherà più. Essa richiama fino a sovrapporglisi la celebre formula con cui egli definisce il fenomeno psicotico: "Ciò che è precluso al simbolico, ritorna nel reale". L'acting out partecipa dunque del meccanismo della forclusion, in italiano "preclusione", che per Lacan è all'origine della psicosi, per quanto esso non sia assolutamente un indice di psicosi ma solo un episodio psicotico, al pari dell'allucinazione delirante: "Io registro l'acting out come equivalente a un fenomeno allucinatorio di tipo delirante che si produce quando simbolizzate prematuramente, quando affrontate qualcosa nell'ordine della realtà e non all'interno del registro simbolico"[5].
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