Il termine adepto (rara la variante adetto) trae origine dal latino adeptus, participio perfetto del verbo adipsci nel significato di "conseguire", ed è attestato nella lingua italiana dal 1739 attraverso il francese adepte.[1]
Viene oggi utilizzato per indicare genericamente il seguace di un'ideologia, il discepolo di una dottrina (soprattutto religiosa, ma anche filosofica o politica), chi è entrato a far parte di una setta, associazione o comunità.
In senso figurato, può essere usato come sinonimo di seguace, fedele, affiliato e simili.[2]
Più nello specifico, il suo significato si avvicina a quello di "iniziato"; infatti, richiamandosi all'accezione latina di adeptus ("conseguito"), designa colui che ha "raggiunto", "conseguito" qualche forma particolare di conoscenza (o gnosi), come ad esempio l'apprendimento esoterico nelle antiche religioni misteriche o nelle correnti filosofico-sapienziali ad esse collegate.
In epoca tardo-medievale, con "adepto" ci si riferiva in particolare a una persona introdotta negli arcani principi dell'alchimia e, più precisamente, nelle ricerche sulla pietra filosofale.[3] Il concetto, in questo senso, si è poi esteso a indicare chiunque sia a conoscenza di leggi e finalità, funzionamento e riti, di una società segreta di qualsivoglia natura (religiosa, filosofica o politica come già detto, ma anche economica, di arti marziali, terroristica o criminale).[4]
Nel mondo dell'esoterismo l'adepto è a un livello superiore di iniziazione, un "maestro di saggezza". Così, nel leggendario ordine segreto dei Rosacroce, sono chiamati adepti «coloro che hanno superato i nove gradi dei Misteri Minori e sono già alunni dei Misteri Maggiori».[5]
L'adepto non andrebbe quindi confuso con l'apprendista o il discepolo che non ha ancora terminato la fase preparatoria della disciplina spirituale, la quale gli consentirà solo alla fine di essere ammesso nella cerchia degli iniziati.