Aḥmad ibn Idrīs (Meisūr, 1760 – Sabyā, 1837) è stato un mistico musulmano marocchino.
Riceve la sua formazione a Fez (Marocco) all'epoca centro culturale più importante del Maghreb. Dopo una serie di viaggi tra l'Egitto e l'Africa orientale si stabilisce nella Penisola araba proprio nel periodo dell'espansione degli Wahabiti. Ibn Idris si trova a La Mecca al tempo della prima occupazione wahhabita del 1803. Vi rimane fino alla riconquista egiziana del 1813 a seguito della quale è costretto a lasciarla a causa delle polemiche condotte dagli ʿulamāʾ locali che lo accusano di simpatie wahhabite. Si trasferisce allora nello 'Asir, ancora sotto controllo wahhabita e vi resta sino alla morte[1].
Ibn Idris concorda con i Wahabiti sulla critica all'interpretazione tradizionale delle scuole islamiche e sulla riprovazione degli eccessi legati alla venerazione delle tombe ma diverge con essi non considerando affatto Ibn Arabi un eterodosso (gli stessi suoi discepoli praticano rituali rigettati dai Wahabiti) e criticando l'esclusivismo wahhabita. Pur non avendo mai fondato una confraternita sufi, Ahmad ibn Idris è all'origine di una tradizione sufi che ha avuto grandissima influenza nel XIX secolo. Al suo insegnamento diretto si ricollegano i fondatori di nuove confraternite come la Sanusiyya, la Khatmiyya e la Rashidiyya. La via muhammadiana, cui si riconnettono tutte le comunità sufi, indica il metodo dei mistici che si conformano esteriormente e interiormente al modello di Maometto, seguendone l'esempio ed esercitando una particolare devozione nei suoi riguardi. Il percorso di arrivo di questa "via" è la visione del Profeta allo stato di veglia. L'amore mistico per il Profeta e la fedeltà alla Sunna sono complementari. Nel pensiero di Ahmad ibn Idris l'accesso alla santità attraverso la visione del Profeta Maometto coesiste con il riconoscimento della validità delle altre "vie" sufi[1].
Le vie sono tanto numerose quanto i respiri delle creature. [...] Non accade mai che due santi si trovino sulla stessa via. [...] Ogni singola creatura di Dio è unica per costituzione, colore, linguaggio e carattere, cosicché non c'è alcun essere umano che sia preceduto o seguito da qualcuno che sia identico a lui sotto tutti gli aspetti [...]. Di ogni singolo essere che Dio ha creato si può quindi dire che non c'è niente che gli assomigli[2].
Questa valorizzazione della diversità è direttamente collegata a una certa concezione dell'interpretazione spirituale delle Scritture. Fra i "miracoli" che vengono attribuiti ad Ahmad ibn Idris c'è il fatto che non interpretava mai allo stesso modo lo stesso versetto del Corano: la sua comprensione del testo veniva rinnovata ad ogni nuova lettura, questo poiché i significati del Libro sono infiniti e quindi esso è all'origine di una rivelazione ininterrotta[1].
Trascorse la vita in Egitto e in Arabia. La sua regola mistica, austera e imperniata sull'imitazione di Maometto, è di rigorosa ortodossia, e dal suo nome è chiamata Idrīsiyya.
Gruppi di suoi seguaci sono ancora a Il Cairo e in Alto Egitto, nel ‘Asīr e in Somalia (dove invece si chiamano Aḥmadivya). Molte altre confraternite musulmane, pur con diversi nomi, fanno capo a questo caposcuola, uno dei più eminenti dell'islamismo moderno.
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