Appunti di viaggio su moda e città | |
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Titolo originale | Aufzeichnungen zu Kleidern und Städten |
Lingua originale | inglese, giapponese, francese |
Paese di produzione | Germania Ovest, Francia |
Anno | 1989 |
Durata | 79 min |
Rapporto | 1,37:1 |
Genere | documentario |
Regia | Wim Wenders |
Soggetto | Francois Burkhardt |
Sceneggiatura | Wim Wenders |
Produttore | Wim Wenders |
Produttore esecutivo | Ulrich Felsberg |
Fotografia | Masasai Chikamori, Muriel Edelstein, Uli Kudicke, Robby Müller, Musatocki Nakajima, Wim Wenders |
Montaggio | Dominique Auvray, Lenie Saviette, Anne Schnee |
Musiche | Laurent Petitgand |
Interpreti e personaggi | |
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Appunti di viaggio su moda e città (Aufzeichnungen zu Kleidern und Städten) è un film documentario del 1989 commissionato dal Centre Pompidou di Parigi, scritto e diretto da Wim Wenders.
Wim Wenders conversa con lo stilista giapponese Yohji Yamamoto sul processo creativo e sul rapporto fra moda e cinema. Si interroga su quali possano essere i metodi di lavoro e le fonti di ispirazione di un designer visionario. Yamamoto riflette sulla bellezza dell'asimmetria, fa osservazioni sartoriali sull'album fotografico di August Sander "Uomini del ventesimo secolo" e prepara ciò che Wenders descrive come il “ montaggio” delle sue sfilate.
Il film è liberamente incentrato su una serie di interviste con Yamamoto, intervallate da filmati del suo atelier, dei lavori precedenti e del suo spettacolo imminente.[1]
Lo spunto narrativo è il dono fatto al regista da parte dell'attrice Solveig Dommartin di una giacca e di una camicia disegnate dallo stilista.[2]
Il film si situa tra produzioni importanti di Wenders come Il cielo sopra Berlino e Fino alla fine del mondo, Così vicino e così lontano e si presenta quasi come una prosecuzione, sei anni dopo, di Tokio-ga. È un film in cui si riconoscono allusioni ad altri film di Wenders: ad esempio c'è un cameo del regista che gioca al biliardo, citazione del primo suo film Estate in città in cui si era ritagliato la parte dell'"amico del biliardo".[3]
Il film si sposta da Tokio a Parigi, dai laboratori giapponesi al teatro della sfilata parigina. Wenders ritorna a rivisitare il Giappone e ritrova le atmosfere del suo amato maestro Ozu.
Il film è un'indagine sul linguaggio mutevole del cinema di Wenders - la celluloide e l'elettronica - e il linguaggio mutevole della moda di Yamamoto - "il fluido e il solido, il fugace e il permanente, il fuggitivo e lo stabile".
Wenders ricorre ad un ripetuto uso dello spleet-screen per creare scarti fra spazio e tempo, per mettere in relazione ambienti diversi: le inquadrature si spezzano e si riavviano; frammenti dettagli si ricompongono in un testo unico "...il regista è come l'artista-sarto (così si definisce Yamamoto) e il film è come un abito da confezionare e consegnare alla visione".[4]