Le deportazioni sovietiche dalla Lettonia furono una serie di deportazioni di massa da parte dell'Unione Sovietica dalla Lettonia nel 1941 e nel 1945-1951, in cui circa 60.000 abitanti della Lettonia furono deportati in aree remote dell'Unione Sovietica, che avevano occupato il paese nel 1940.[1] Deportazioni simili furono eseguite dai sovietici nello stesso periodo storico anche negli altri due stati baltici, l'Estonia e la Lituania.
Tra il 1940 e la metà degli anni Cinquanta, in Lettonia si registrò un costante spopolamento per via delle tre occupazioni avvenute nel corso della seconda guerra mondiale e delle repressioni successive.[2][3][4] Oltre ai lettoni e a minoranze nazionali come i livoni[5] e gli ebrei soggette a repressioni o arresti, vi furono gruppi etnici che preferirono abbandonare la nazione di spontanea volontà, come nel caso dei tedeschi del Baltico (60.000 di essi salutarono la Lettonia tra il 1939 e il 1941).[6]
Oltre ad allontanamenti forzati della popolazione dalla portata minore, le due principali ondate di espulsione si verificarono nel 1941 e nel 1949. La popolazione veniva coattivamente trasferita in regioni remote dell'URSS, soprattutto in Siberia o Caucaso.
La prima delle due, avvenuta nel corso dell'occupazione sovietica del 1940-1941 e nota come deportazione di giugno, durò dal 14 giugno 1941 al 22 luglio e portò all'allontanamento di circa 15.500 persone: anche il presidente lettone Kārlis Ulmanis e il ministro degli Esteri Vilhelms Munters vennero deportati in Unione Sovietica, dove morirono come prigionieri nel 1942.[7] Il 31 luglio, la stessa sorte toccò al ministro della Difesa Jānis Balodis, trasferito assieme alla sua famiglia in Unione Sovietica (ordine scritto da Vilis Lācis).[8]
La seconda deportazione prese il nome di operazione Priboi e avvenne il 25 marzo 1949. Lo scopo ufficiale era quello di "dekulakizzare" i paesi baltici.[9][10][11] Tramite tale misura, Mosca fu in grado di stroncare quasi definitivamente i movimenti di guerriglia noti come fratelli della foresta e attivi dagli ultimi anni della seconda guerra mondiale fino ai primi anni Cinquanta. Si stima che oltre 200.000 persone siano state allontanate dalla propria nazione tra il 1940 e il 1953.[12] Almeno 75.000 di essi finirono nei gulag. Il 10% dell'intera popolazione baltica in età adulta venne deportata o inviata nei campi di lavoro.[13]
^ Ministero degli Affari Esteri della Lettonia, Latvia in the 20th Century, su mfa.gov.lv. URL consultato l'8 giugno 2020.
«Secondo le stime, a seguito del conflitto mondiale la popolazione della Lettonia diminuì di mezzo milione (25% in meno del 1939). Rispetto alla popolazione del 1939, i lettoni erano 300.000 in meno. La guerra aveva anche ovviamente causato danni al commercio (alcuni dei principali centri economici erano stati rasi al suolo), all'industria e alle infrastrutture»
«Un dato interessante riguarda il trasferimento della popolazione dalle campagne alle città: "nel 1940, il 35% della popolazione viveva negli agglomerati urbani principali. Nel 1955, il numero superava il 50%. Al contempo, i cittadini di etnia lettone erano scesi dall'83% del 1945 al 63% del 1950 e, stando al censimento del 2000, al 58% cinquanta anni dopo»
«Durante gli anni dell'occupazione nazista, le campagne speciali messe in atto portarono alla morte di 90.000 persone in Lettonia, di cui circa 70.000 ebrei e 2.000 gitani»