Detenuto in attesa di giudizio | |
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Alberto Sordi interpreta Giuseppe Di Noi in una scena del film | |
Paese di produzione | Italia |
Anno | 1971 |
Durata | 99 min |
Genere | drammatico |
Regia | Nanni Loy |
Soggetto | Rodolfo Sonego, Sergio Amidei, Emilio Sanna |
Sceneggiatura | Sergio Amidei, Emilio Sanna |
Produttore | Gianni Hecht Lucari |
Produttore esecutivo | Fausto Saraceni |
Casa di produzione | Documento Film |
Distribuzione in italiano | Fida Cinematografica |
Fotografia | Sergio D'Offizi |
Montaggio | Franco Fraticelli |
Musiche | Carlo Rustichelli (dirette da Bruno Nicolai) |
Scenografia | Gianni Polidori |
Costumi | Marisa Crimi, Bruna Parmesan |
Trucco | Franco Rufini |
Interpreti e personaggi | |
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Doppiatori originali | |
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Detenuto in attesa di giudizio è un film del 1971 diretto da Nanni Loy e interpretato da Alberto Sordi, in una delle sue rare interpretazioni drammatiche.
Il geometra romano Giuseppe Di Noi, da anni trasferitosi in Svezia, sposato e stimato professionista, decide di portare in vacanza in Italia la sua famiglia. Alla frontiera italiana l'uomo viene arrestato senza alcuna spiegazione. Tradotto in un carcere a Milano, solo dopo tre giorni apprende di essere accusato di "omicidio colposo preterintenzionale" di un cittadino tedesco. Di Noi, convinto che si tratti di un equivoco, viene trasferito di carcere in carcere: prima a Regina Coeli, poi nella località immaginaria di Sagunto, nei pressi di Salerno, dov'è internato in una cella di isolamento perché, avendo risieduto all'estero, vi sarebbe il pericolo di fuga.
Di Noi subisce un lungo calvario, costellato di trattamenti umilianti, incubo che si protrae per giorni e giorni. Giunto sul posto, il magistrato inquirente dichiara di non poterlo ascoltare, in quanto privo di un legale e lo rimprovera per questo. Suo malgrado, l'uomo si trova coinvolto in una sommossa e viene trasferito dapprima in un carcere per reclusi ergastolani, dove scampa a stento a una violenza, poi in una struttura psichiatrica. Occorrono l'ostinazione di sua moglie, l'interessamento del suo avvocato appena nominato e la disponibilità del magistrato che rimanda le sue vacanze per esaminare il caso. Verrà così dimostrata l'assenza di fondamento dell'accusa e sarà finalmente disposta la scarcerazione, ma Di Noi ne uscirà fortemente traumatizzato a causa di tutte le angherie subite. Si scopre infatti che la morte del cittadino tedesco avvenne per il crollo accidentale del viadotto di una superstrada, costruita da una ditta di cui il Di Noi era stato dipendente. Trasferitosi nel frattempo in Svezia e senza alcuna comunicazione internazionale, non rispondendo al mandato di comparizione[1], tecnicamente egli risultava latitante.
Chiarita la sua posizione, il geometra viene prosciolto e rilasciato, ma ormai è un uomo mentalmente distrutto.
Per Alberto Sordi il film fu uno dei rari ruoli drammatici da lui interpretati;[2] l'anno seguente gli sarebbe valso l'Orso d'argento per il miglior attore al Festival di Berlino. L'ispirazione per il film era venuta allo stesso Sordi dopo aver letto il libro Operazione Montecristo, il diario che Lelio Luttazzi scrisse mentre era detenuto in carcere[3]. Un'altra fonte di ispirazione per la trama del film fu l'inchiesta televisiva Verso il carcere, realizzata da Emilio Sanna[4].
Il film-denuncia di Nanni Loy, una sorta di incubo kafkiano calato nella realtà italiana, uscì nelle sale suscitando scalpore, poiché per la prima volta un'opera cinematografica denunciava senza mezzi termini l'arretratezza e la drammatica inadeguatezza dei sistemi giudiziario e carcerario italiani.[5]
Lelio Luttazzi scrisse alcuni interventi musicali per il film.