Capomastro del Duomo di Milano dall'anno 1605 e autore di numerose chiese e edifici in tutta la provincia di Milano, fu il più notevole esponente di una dinastia di ingegneri e architetti milanesi, iniziata dal padre Bernardo (1549 circa - 1639) e conclusasi alla fine del Settecento con un tardo pronipote.[1]
«L'opera del Ricchino non fu mai studiata adeguatamente, ma sembra che quando un giorno si potrà redigere un bilancio, il premio per essere stato il più fantasioso e il più dotato architetto italiano dell'inizio del Seicento andrà al Ricchino piuttosto che al Maderno»
Il Richini compì la sua educazione artistica a Roma, portando a Milano il gusto e la cultura barocca romana, fastosa, esuberante e scenografica, temperata dall'influenza palladiana e dal classicismo milanese del tardo Cinquecento[2]. Con la chiesa di San Giuseppe, sua prima opera affidatagli, determinò il superamento del manierismo accademico in voga in Lombardia fino ad allora e combinò due moduli a pianta centrale greca a formare una pianta longitudinale, creando un modello tra i più ripresi nei successivi secoli[3].
Autore di una produzione architettonica vastissima, per la maggior parte andata perduta, tra le sue opere in campo civile ci sono il cortile e la facciata della Ca' Granda, il palazzo di Brera e il suo cortile con archi su doppie colonne, e il Collegio Elvetico, tra i primi edifici barocchi a presentare una facciata concava. Fu tra i maggiori architetti del primo barocco italiano e sicuramente il più influente e celebre del Seicento lombardo e per trovare un'altra figura di tale spessore sulla scena lombarda, si dovrà attendere l'arrivo del Piermarini[4].
Lago Maggiore, Isola Bella, progetti per il palazzo Borromeo (pare sia realizzato su suo disegno il salone, planimetricamente impostato su una pianta centrale quadrilobata)