Gemma Donati (Firenze, 3 marzo 1265 circa[1] – Firenze, 1333-1342) fu la moglie di Dante Alighieri.
Non si sa quasi nulla della sua vita, nemmeno la data esatta di nascita o di morte. Le notizie sulla moglie di Dante sono circoscritte intorno alla famiglia d'origine, la nobile casata dei Donati: Gemma, infatti, era figlia di ser Manetto e cugina di Corso, Forese e Piccarda Donati[1][2], e di Maria, morta nel 1315[3]. Fu presto legata da un "instrumentum dotis" 9 febbraio 1277, ritrovato in un atto rogato a Firenze nel 1329 dove Gemma richiedeva indietro il patrimonio immobiliare del defunto marito, comprensivo della dote pagata dal padre anni prima a Dante, figlio di Alighiero degli Alighieri, presso il notaio ser Oberto Baldovini[4]. La sua dote era di 200 fiorini piccoli, circa 12 fiorini d'oro, dote irrisoria, che ci dice quanto fossero poco consistenti le sostanze di Alighiero o, come probabile, dei suoi eredi[3]. La giovane sposò Dante dopo alcuni anni, attorno al 1285, e gli diede quattro figli, 3 maschi e una femmina: Giovanni, il primogenito della cui esistenza si è sempre dubitato - è attestato con certezza da un documento di un notaio fiorentino recante la data del 20 maggio 1314, la cui scoperta fu fatta nel 1940 da Renato Piattoli ma mai pubblicata -, è stato riscoperto solo nel 2016 con la pubblicazione della nuova edizione del Corpo Diplomatico Dantesco; Iacopo e Pietro, commentatori dell'opera paterna; Antonia[5]. Non ci sono nell'opera di Dante allusioni dirette ed esplicite alla moglie, e non si sa nulla delle vicende coniugali della coppia, né tantomeno della vita di Gemma: incerte e dubbiose sono le critiche impietose date dal Boccaccio nel suo Trattatello in laude di Dante, e ancor di più quelle fornite dal letterato ottocentesco Vittorio Imbriani[1]. Marco Santagata, rimanendo neutrale, sottolinea però che Dante manifestò sempre un particolare affetto verso alcuni membri della famiglia della moglie, nonostante il ruolo che i Donati ebbero nell'esiliarlo[2]. Lo stesso Santagata in Le donne di Dante afferma:
«Quando pensiamo alle donne di Dante, il primo nome che si affaccia alla nostra mente è quello di Bice Portinari: per il poeta e letterato il nome di gran lunga più rilevante, ma per l'uomo Dante, per la sua vita travagliata, le donne che più hanno contato sono state la sorella Tana e la moglie Gemma.[3]»
Santagata, per altro, ipotizza che nella canzone Tre donne intorno al cor mi son venute, il "bel segno" che la lontananza aveva sottratto ai suoi occhi e il cui desiderio è "foco", non sia altri che Gemma, nei versi successivi, infatti, il poeta parla di una colpa che si estingue con il pentimento. Se, dunque, Santagata, avesse correttamente interpretato questo passo, Dante avrebbe infranto il tabù medievale, per cui la poesia dovrebbe trattare solo di amore per donne sposate con altri.[6]
Alla morte di Dante, si sa che Gemma era ancora viva: nel 1329 ella reclamò presso le autorità fiorentine, infatti, la parte della sua dote dai beni confiscati al marito. Nel novembre 1332 Iacopo Alighieri e Foresino Donati, vendendo per saldare un vecchio debito del padre alcuni appezzamenti di terra che si trovavano a Pagnolle, promettevano che Gemma e i suoi figli Antonia e Pietro avrebbero ratificato la vendita. Nel successivo 1333 Gemma istituì un procuratore per richiedere davanti al giudice sui beni dei ribelli i frutti della sua dote per quell'anno[1]. In un atto notarile del 9 gennaio 1343 Gemma è ricordata come già defunta[1][4].
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