Hermann Friedrich Graebe

Herman Friedrich Graebe, o Gräbe (Solingen, 19 giugno 1900San Francisco, 17 aprile 1986[1]), è stato un manager e ingegnere tedesco, responsabile di un'impresa edile tedesca in Ucraina, fu testimone delle esecuzioni di massa degli ebrei di Dubno il 5 ottobre 1942 e nel ghetto di Rovno il 13 luglio 1942. Dopo la guerra scrisse una famosa e raccapricciante testimonianza.

L'albero di Hermann Grabe a Yad Vashem

Hermann Gräbe lavorò dal 1941 come responsabile di un'impresa edile a Solingen, nell'Ucraina occupata dai tedeschi. Svolse delle cosiddette "missioni di guerra" in Volinia e diresse i lavori di manutenzione e costruzione delle ferrovie per la Deutsche Reichsbahn. Fu presente a Rovno[2] e a Dubno[3] dove poté assistere al massacro della popolazione ebraica.

«Non puoi vedere così tanto sangue scorrere davanti a te e non essere turbato, dovevo fare qualcosa. Dovevo proteggere quante più persone possibile.»

Convinto antinazista, riuscì ad ottenere dei documenti falsi per migliaia di ebrei e ad impiegarli ufficialmente come operai nei suoi cantieri.

Nel caos degli ultimi mesi di guerra, riuscì a portare in Occidente i suoi appunti sulle operazioni di omicidio: questi scritti permisero agli americani di scoprire le fosse comuni in Ucraina e di identificare i responsabili degli eccidi. Gräbe fu testimone a Norimberga nel 1946 durante i processi ai criminali di guerra. Le sue dettagliate dichiarazioni furono fondamentali per la condanna di molti funzionari.

La testimonianza

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Graebe fornì la seguente testimonianza oculare:

«Io e il mio caposquadra siamo andati direttamente alle fosse. Nessuno ci ha disturbato. Ho sentito degli spari di fucile in rapida successione da dietro uno dei cumuli di terra. Le persone che erano scese dai camion - uomini, donne e bambini di tutte le età - hanno dovuto spogliarsi per ordine di un uomo delle SS che portava una frusta da cavallo o da cane. Dovevano deporre i loro vestiti in luoghi stabiliti, ordinati per scarpe, top e biancheria intima. Ho visto mucchi di scarpe di circa 800 o 1000 paia, grandi mucchi di biancheria intima e di vestiti. Senza gridare né piangere queste persone si spogliavano, stavano in gruppi familiari, si baciavano, si salutavano, e aspettavano un segno da un altro SS, che stava vicino alla fossa, anche lui con una frusta in mano. Durante i quindici minuti in cui rimasi vicino, non udii lamentele o suppliche di grazia. Ho osservato una famiglia di circa otto persone, un uomo e una donna entrambi sulla cinquantina, con i loro figli tra i venti e i ventiquattro, e due figlie adulte di ventotto o ventinove anni. Una vecchia dai capelli bianchi come la neve teneva in braccio un bambino di un anno e gli cantava e gli faceva il solletico. Il bambino rideva di gioia. I genitori lo stavano guardando con le lacrime agli occhi. Il padre teneva per mano un bambino di circa dieci anni e gli parlava sottovoce; il ragazzo stava trattenendo le lacrime. Il padre indicò il cielo, gli accarezzò la testa e parve spiegargli qualcosa. In quel momento l'uomo delle SS alla fossa iniziò a gridare qualcosa al suo compagno. Quest'ultimo contò una ventina di persone e ordinò loro di andare dietro il tumulo di terra. Tra loro c'era la famiglia che ho appena menzionato. Ricordo bene una ragazza, magra con i capelli neri, che, passandomi accanto, indicò se stessa e disse:"ventitré anni". Ho camminato intorno al tumulo e mi sono trovato di fronte a una tomba tremenda. Le persone erano strettamente incastrate e sdraiate l'una sull'altra in modo che solo le loro teste fossero visibili. Quasi tutti avevano il sangue che scorreva sulle spalle dalle loro teste. Alcune delle persone colpite erano ancora in movimento. Alcuni alzavano le braccia e giravano la testa per mostrare che erano ancora vivi. La fossa era quasi piena per due terzi. Ho stimato che già contenesse circa un migliaio di persone. Ho cercato l'uomo responsabile della sparatoria. Era un uomo delle SS, che sedeva sul bordo della stretta estremità della fossa, con i piedi penzolanti nella fossa. Aveva un mitra sulle ginocchia e fumava una sigaretta. Le persone, completamente nude, scesero alcuni gradini che erano ritagliati nel muro di argilla della fossa e si arrampicavano sulle teste delle persone che giacevano lì nel luogo in cui l'uomo delle SS li dirigeva. Si sdraiavano davanti ai morti o ai feriti; alcuni accarezzavano coloro che erano ancora vivi e parlavano loro a bassa voce. Poi ho sentito una serie di spari. Guardai nella fossa e vidi che i corpi si contraevano o le teste giacevano già immobili in cima ai corpi che giacevano sotto di loro. Il sangue scorreva dal loro collo. Il gruppo successivo si stava già avvicinando. Sono scesi nella fossa, si sono allineati contro le vittime precedenti e sono stati colpiti.[4]»

Il dopoguerra

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Per lui e la sua famiglia le conseguenze furono amare. Nel 1948, in seguito alle minacce di morte ricevute, Gräbe, con la moglie e il figlio, emigrò in California. Nel 1953 ricevette la cittadinanza americana.[1]

Nel 1965, Gräbe fu premiato da Yad Vashem come "Giusto tra le nazioni",[5] mentre nel frattempo in Germania fu oggetto di violente calunnie. Georg Marschall, uno dei criminali nazisti condannati a Norimberga per le dichiarazioni di Gräbe, ottenne nel 1966 la revisione della sua causa. Il suo avvocato mise in dubbio la credibilità di Gräbe in qualità di testimone e lo accusò di falsa testimonianza. Sebbene la corte lo seguì solo in parte su questa tesi, la strategia diede i suoi frutti: Marschall fu condannato a soli cinque anni di carcere per aver partecipato all'omicidio di un ebreo per impiccagione. Gräbe, al contrario, per aver testimoniato al processo di Auschwitz, non poté più rientrare in territorio tedesco poiché fu minacciato di arresto. Nel 1966 il Der Spiegel raccolse queste false accuse e redasse l'immagine che la Germania aveva di Gräbe. La sua riabilitazione non arrivò fino al 1990, Gräbe non poté vederla, morì il 17 aprile 1986 a San Francisco.

Wolfgang Thierse scrive:«Il destino di Gräbe lo ha dimostrato ancora una volta: per quanto tempo la società tedesca del dopoguerra si è rifiutata di assumersi le proprie responsabilità?» Da allora un centro giovanile porta il suo nome a Solingen,[1] dopo una decisione del consiglio comunale presa in occasione del centesimo anniversario della nascita di Gräbe, e sulla sua casa natale è apposta anche una targa commemorativa.

  1. ^ a b c Wolfram Wette, Verleugnete Helden, n. 46, Die Zeit, 2007, p. 96 (archiviato dall'url originale l'11 marzo 2016).
  2. ^ Aust, p. 373.
  3. ^ Habbe, p. 369ff.
  4. ^ Jensen, pp. 555-seguenti.
  5. ^ (EN) Hermann Friedrich Graebe, su yadvashem.org.

Approfondimenti

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  • Douglas K. Huneke, The Moses of Rovno, 1990 [1985], ISBN 0-89141-457-6.
  • Douglas K. Huneke, In Deutschland unerwünscht: Hermann Gräbe: Biographie eines Judenretters, 2016, ISBN 978-3-86674-532-2.
  • Alexander Kruglov, Równe, in Martin Dean (a cura di), The United States Holocaust Memorial Museum Encyclopedia of Camps and Ghettos, 1933–1945. Vol. 2, Ghettos in German-Occupied Eastern Europe: Part B, Bloomington, Indiana University Press, 2012, pp. 1459–1461, ISBN 978-0-253-00227-3.

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