Il decimo clandestino | |
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Una scena del film | |
Paese | Italia |
Anno | 1989 |
Formato | film TV |
Genere | drammatico |
Durata | 86 min |
Crediti | |
Regia | Lina Wertmüller |
Soggetto | Giovannino Guareschi |
Sceneggiatura | Lina Wertmüller |
Interpreti e personaggi | |
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Fotografia | Carlo Tafani |
Montaggio | Pierluigi Leonardi |
Musiche | Pino D'Angiò, Lilli Greco |
Scenografia | Enrico Job |
Produttore esecutivo | Carlo Vanzina ed Enrico Vanzina |
Casa di produzione | Video 80 |
Prima visione | |
Data | 2 maggio 1989 |
Rete televisiva | Canale 5 |
Il decimo clandestino è un film televisivo del 1989 diretto da Lina Wertmüller.
Alla morte del marito, la contadina Marcella è costretta a cercare lavoro; per farlo si trasferisce a Bologna portando con sé i nove figli. Impossibilitata ad affittare una casa per un nucleo così numeroso, trova alloggio nella soffitta di una residenza di lusso, tacendo sulla presenza dei bambini ai locatori. Scoperta la realtà, la padrona di casa reagisce con durezza: il motivo è dato non dalla residenza clandestina dei bambini, ma dall'invidia provata per l'esistenza stessa dei fanciulli, causata dalla perdita dell'unico figlio, circostanza che le ha fatto naufragare il matrimonio e indurito il cuore.
Tratto dall'omonimo racconto di Giovannino Guareschi, il film fu girato a Bologna.[1]
«Mi è piaciuto calarmi nel mondo di Guareschi, descrivere la graduale scomparsa della cultura contadina, i fenomeni legati all'immigrazione nella città, la campagna mangiata dalla metropoli. E poi parlare dell'amore materno, riscoprendo la Degli Esposti in una chiave solare, umana, diversa da quelle che hanno caratterizzato la sua carriera. Qui Piera è una pagnotta di pane, una mamma contadina che ha nove figli ed è costretta a stabilirsi in città, a Bologna, dopo la morte del marito.»
Il film faceva parte di un ciclo televisivo intitolato Amori, composto da sei film; gli altri cinque sono: Il vizio di vivere di Dino Risi, La moglie ingenua e il marito malato di Mario Monicelli, Mano rubata di Alberto Lattuada, Gioco di società di Nanni Loy e Cinema di Luigi Magni.[3]
Il film fu trasmesso su Canale 5 il 2 maggio 1989.[4]
Internazionalmente fu presentato il 12 maggio al Festival di Cannes 1989 nella sezione Un Certain Regard[5] in una edizione più lunga di quella televisiva[6], e al Festival Des Films du Monde di Montréal.[7]
«Grande successo di lacrime, ieri sera su Canale 5, [...] molti avranno sentito il bisogno di ricorrere al fazzoletto per asciugarsi l'angolo dell'occhio. Il che può capitare, naturalmente. Ma il curioso è che a provocare tanta emozione sia stato un film di Lina Wertmüller. [...] Per la verità l'avvio del film [...] pare rientrare nel mondo della regista, e la sequenza del marito agonizzante [...] che vuol fare ancora l'amore con la consorte, mentre in casa circolano i nove figlioletti e alle porte occhieggiano i parenti già in lutto, è di una funebre e gioconda comicità irresistibile. Ed è pure trascinante e divertente tutta la prima parte in cui la contadina si trasferisce dalla campagna (stupenda l'inquadratura dei bambini arrampicati sull'albero) in città, a Bologna, e riesce a introdurre clandestinamente nella mansarda d'affitto di un palazzo i nove pargoli. Poi, quasi d'improvviso, il clima bruscamente cambia. La giovane rigida padrona del palazzo scopre l'inghippo, ma noi scopriamo che la signora si porta dietro un'angoscia atroce che le ha rovinato la vita, la morte dell'unico figlio, un bambino di sette anni. Intendiamoci: il film è fatto benissimo, Piera Degli Esposti ilare e coriacea popolana è di grande bravura, e Dominique Sanda con straziato gelo le tiene testa, e la Wertmüller con le buone o le cattive ha fatto recitare a dovere il piccolo nido d'infanzia; Bologna è ritratta nella maniera più suggestiva, e Azzurro di Paolo Conte casca come il parmigiano sui tortellini, e così le musiche di Vivaldi e Richard Strauss. Detto questo, restano tre impressioni non propriamente positive che tendono ad offuscare il quadro. Anzitutto nella seconda parte un eccessivo «a fondo» sul pedale del patetico al fine di effetti strappalacrime. Poi una certa retorica che non s'addice alla Wertmüller: i poveri contenti, i ricchi straziati, i soldi non fanno la felicità, e la mortalità infantile sembra colpire i palazzi e non i tuguri (non è il contrario?). Comunque l'abbandono progressivo del registro di favola ironica e grottesca, così vivo e balzante all'inizio, porta addirittura ad un sospetto, sicuramente ingiusto ma non evitabile: il film rischia d'apparire un abile pezzo firmato di propaganda per l'incremento demografico.»