Jean Terrasson (Lione, 1670 – Parigi, 15 settembre 1750) è stato uno scrittore francese.
Professore di filosofia greca e latina nel Collège royal, fu eletto membro dell'Académie des inscriptions et belles-lettres nel 1707 e dell'Académie française nel 1732.
Voltaire ha scritto di lui, nel suo Siècle de Louis XIV, che egli fu un «filosofo durante la sua vita e alla sua morte. Vi sono bei brani nel suo Séthos. La traduzione di Diodoro è utile: la sua analisi di Omero passa per essere senza gusto».
Il Séthos di Jean Terrasson conobbe un autentico successo e popolarizzò la nozione dei «misteri egizi». Terrasson vi narra la vicenda di Séthos, una storia d'invenzione che egli dice di aver tratta da un manoscritto greco di un anonimo, il quale a sua volta avrebbe avuto accesso a fonti originali egiziane. Essendo la composizione dell'opera molto anteriore alla decifrazione dei geroglifici, gli egittologhi non attribuiscono alcun valore storico alle notizie di Terrasson. Emanuel Schikaneder si ispirò a questo scritto nel comporre il testo de Il flauto magico, musicato da Mozart, particolarmente per i passaggi su temi legati alle concezioni massoniche, come l'aria O Isis und Osiris.[1]
La sua Académie des dames è la traduzione di un dialogo erotico saffico, che egli finge di attribuire a Luisa Sigea, poetessa erudita della corte di Lisbona, e poi, sosteneva ancora Terrasson, tradotto in latino da Joannes Meursius, umanista di Leida, nell'Olanda meridionale. Se Luisa Sigea è certamente esistita, il Mersius è un personaggio del tutto inventato e l'Académie des Dames è una creazione dell'avvocato e storico francese Nicolas Chorier, il cui manoscritto circolava negli ambienti libertini.
Nella sua Dissertation critique sur l'Iliade, Terrasson pretende che, grazie soprattutto agli apporti di Cartesio, la scienza, la filosofia e perciò lo spirito umano avessero fatto un tale progresso che i poeti del Settecento ormai superavano nettamente quelli dell'antica Grecia. Vi fa anche osservazioni originali sull’Opéra, considerata da lui un ponte tra la musica che narra una storia e la musica che è per proprio conto una fonte di piacere.
Tra le altre opere, la Philosophie applicable à tous les objets de l'esprit et de la raison è un saggio filosofico e teologico sul piacere e il dolore. Gli si attribuisce anche un Traité de l'Infini Créé, ritenuto per lo più di Malebranche.
Terrasson è menzionato nella prefazione alla prima edizione della Critica della ragion pura di Immanuel Kant, che lo cita a proposito della questione degli esempi con cui eventualmente corredare un'opera di metafisica e nell'oscillazione tra una versione "popolare" ed una seccamente scolastica. Scrive Kant:
«L'abate Terrasson dice [...]: se si misura la vastità di un libro non dal numero delle pagine, ma dal tempo necessario per comprenderlo, si può allora dire di parecchi libri, che sarebbero molto più brevi, se non fossero tanto brevi. D'altro lato però, se si ha di mira la comprensibilità di un sistema complessivo di conoscenza speculativa, che sia vasto ma tenuto assieme da un solo principio, si potrebbe dire altrettanto a buon diritto: parecchi libri sarebbero stati molto più chiari, se non avessero voluto essere così tanto chiari".[2]»
La citazione è tratta dalla traduzione tedesca (Philosophie nach ihrem allgemeinen Einflusse alle Gegenstände des Geiste und der Witten, Berlino, 1762, p. 117) di un libro pubblicato postumo: La Philosophie applicable à tous les objets de l'esprit et de la raison (Parigi, 1754). Nell'originale, recita così:
«Dans les Sciences qui sont difficiles par elles-mêmes, je ne mesure pas la longueur d'un Livre par le nombre des ses pages, mais par la longueur du tems qu'il faut employer pour l'entendre. En ce sens il est assez souvent arrivé que l'ouvrage rendu un peu plus long, auroit été beaucoup plus court.[3]»
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