Launeddas | |
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Informazioni generali | |
Origine | ![]() |
Invenzione | Preistoria |
Classificazione | 422.22 Aerofoni ad ancia semplice |
Uso | |
Musica folk Musica tradizionale dell'Europa Meridionale |
Le launeddas sono uno strumento musicale a fiato policalamo ad ancia battente, originario della Sardegna. È uno strumento di origini antichissime in grado di produrre polifonia, è suonato con la tecnica della respirazione circolare ed è costruito utilizzando diversi tipi di canne.
Lo strumento è formato da tre canne, di diverse misure e spessore, con in cima la cabitzina dove è ricavata l'ancia.
Sulla mancosa e sulla mancosedda vengono intagliati a distanze prestabilite quattro fori rettangolari per la diteggiatura delle note musicali. Un quinto foro (arreffinu) è praticato nella parte terminale delle canne (opposta all'ancia).
Le ance, realizzate sempre in canna, sono semplici, battenti ed escisse in unico taglio sino al nodo.
L'accordatura viene effettuata appesantendo o alleggerendo le ance con l'ausilio di cera d'api.
Per la costruzione delle Launeddas non si usa la canna palustre phragmites australis, bensì la canna di fiume arundo donax, o canna comune, e la arundo pliniana, detta canna mascu o cann'e Seddori, un tipo particolare di canna che cresce principalmente nel territorio compreso fra Samatzai, Sanluri e Barumini.
La canna comune viene utilizzata per la costruzione de su tumbu e delle ance, mentre la cann'e Seddori viene utilizzata per la costruzione della mancosa e della mancosedda.
Rispetto alla canna comune infatti presenta una distanza internodale molto maggiore, che può arrivare a diverse decine di centimetri, ed uno spessore notevole, che la rende più robusta e conferisce allo strumento un timbro particolare.
Esistono diversi tipi di launeddas tra cui i principali sono:
Dai tipi principali, attraverso opportuni accoppiamenti tra crobas e mancoseddas, si ottengono sottotipi:
(*) caduti in disuso
La mancosedda della mediana ha la particolarità di avere cinque fori per la diteggiatura, di cui il primo o l'ultimo sono otturati con cera per ottenere rispettivamente la mediana propriamente detta (o mediana sciuta) e la mediana a pipìa. Lo stesso accorgimento è utilizzato nello spinellu. Tutti gli strumenti possono essere costruiti in varie tonalità.
Uno strumento simile caratterizza Pan, il dio pastore del mondo greco. Strumenti congeneri, suonati con tecniche simili, sono presenti nell'Africa Settentrionale ed in Medio Oriente.
L'uso delle launeddas è attestato in un arco temporale che va dalla preistoria, come si evince dal celebre bronzetto itifallico (nuragico), ritrovato ad Ittiri, rappresentante presumibilmente un suonatore di launeddas e, attraverso varie vicissitudini e con le modificazioni dovute al riuso, sino ai nostri giorni.
Le occasioni d'utilizzo, laiche o religiose, contemplavano l'esecuzione di brani originali; è credibile l'uso in rituali magico-rituali, come nel caso dei riti della malmignatta (argia), analoghi alle tarantolate dell'Italia meridionale o altri riti consimili e, per trasposizione sincretica, all'attuale uso religioso.
Il ballo sardo, che vanta una maggiore sopravvivenza e ricchezza di nodas o pichiadas (frasi musicali), pur rivelando una sua specificità, deve essere necessariamente ricondotto ai balli orgiastico-cultuali in cerchio attorno agli officianti o al fuoco dei riti primitivi e questo è dimostrato dal fatto che, in epoca storica, l'occasione di ballo era indissolubilmente legata al ciclo dell'annata agraria, svolta nei sagrati delle chiese o d'antichi siti sacri.
Sino agli inizi degli anni sessanta, il suonatore (o più di uno) si poneva al centro di un cerchio di ballerini (su ballu tundu), che tenendosi per mano ruotavano lentamente attorno allo stesso, andando avanti e indietro al ritmo della musica, secondo uno schema ossessivo ed ipnotico che prevedeva diversi tipi di passo e di movenze codificati, sincronizzati con i diversi momenti della sonata che normalmente durava 20-30 minuti, ma che poteva protrarsi anche per più di un'ora. Altri usi attestati dello strumento sono l'accompagnamento al canto (mutettus, goccius, cantzonis a curba, etc.), l'accompagnamento de is obreris, l'accompagnamento nei cortei delle sagre, dei matrimoni e di tutte quelle attività che prevedevano partecipazione popolare alla vita sociale.
La diffusione e la coincidenza della scala modale dello strumento con tutta la musica sarda suggerisce la sua diffusione, in passato, in tutta la Sardegna; ad oggi, lo strumento sopravvive soprattutto nel Sarrabus, a Cabras, in Ogliastra, nella Trexenta e infine a Ovodda per via di un unico suonatore, l'ultimo rimasto in Barbagia.
altri suonatori furono Antioco Cabras padre di Giovanni"Giuaniccu" Cabras, Giuseppe Lara padra di Antonio ed Emanuele Lara e Cesarino Cinus.suonatori super quotati
Il Sarrabus, e soprattutto Villaputzu, vantava e vanta ancora, una scuola che disponeva dei più raffinati maestri, custodi del ricco repertorio delle varie suonate, delle tecniche costruttive e del vasto patrimonio letterario orale concernente lo strumento.
Il semi-professionismo sopravvissuto nel Sarrabus, retaggio di periodi storici precedenti, quando i suonatori erano ancora al centro della vita sociale, ha reso possibile la conservazione e la trasmissione, da maestro ad allievo, di buona parte di questo prezioso patrimonio.
Tra le cosiddette scuole di launeddas, una posizione speciale occupa quella del Sinis, che ha il suo epicentro nel paese di Cabras. Lo stile e il repertorio cabrarese vennero osservati e analizzati, sin dagli anni Cinquanta, dall'etnomusicologo Andreas Fridolin Weis Bentzon[1]. Bentzon nei suoi studi ebbe modo di evidenziare l'arcaicità del repertorio di Cabras e, in particolare, in quello del ballo detto passu ‘e duus. Altre sonate tipiche tradizionali sono su passu ‘e tres, su ballu crabarissu, sa pastorella (processionale), sa missa sarda, su passu ‘e cantai. Particolare a Cabras è l'uso delle launeddas, localmente dette una pariga 'e sonus, per l'accompagnamento dei poeti dialettali. Diverse registrazioni in commercio sono riferibili alla coppia Giovanni Casu e Salvatore Manca, deceduto nel 2011.
Sull'etimologia del termine esistono proposte diverse. Cursoriamente (dal DES) sono dati tutti come foneticamente precari i vari:
Recentemente Giulio Paulis ha proposto un lat. ligulella ("linguetta").
I primi studi risalgono al 1787 e furono fatti dal gesuita sardo Matteo Madao, che raccolse canti e danze e citò le luneddas. Negli anni sessanta del XX secolo fu la volta dell'etnomusicologo danese Andreas Fridolin Weis Bentzon, che raccolse con registrazioni sul campo numerose sonate che poi catalogò e trascrisse su pentagramma. Diego Carpitella realizzò nel 1981, per il programma I Suoni - Ricerche sulla musica popolare italiana di Rai 3, il documentario Sardegna: Is Launeddas, incentrato sulla figura di Dionigi Burranca, trasmesso il 28 luglio 1982[2]. L'etnomusicologo Ambrogio Sparagna ha realizzato una puntata monografica sulle launeddas, che è andata in onda il 2 dicembre 2012 su Rai3 nella trasmissione L'Italia che risuona, con nuovi studi e ricerche sul campo[3].
Le launeddas entrano tra le materie di studio del Conservatorio Statale Giovanni Pierluigi da Palestrina di Cagliari che già dal 2017 aveva attivato un corso propedeutico[4] dedicato a questo antichissimo strumento. L'insegnamento di durata triennale è stato istituito ad iniziare dall'anno accademico 2018-2019, sotto la direzione del maestro Luigi Lai.[5]
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