Les statues meurent aussi | |
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Lingua originale | francese |
Paese di produzione | Francia |
Anno | 1953 |
Durata | 30 min |
Dati tecnici | B/N |
Genere | documentario |
Regia | Alain Resnais, Chris Marker e Ghislain Cloquet |
Sceneggiatura | Chris Marker |
Casa di produzione | Tadié, Présence Africaine |
Fotografia | Ghislain Cloquet |
Musiche | Guy Bernard |
Les statues meurent aussi ("Anche le statue muoiono") è un cortometraggio documentario del 1953 diretto da Alain Resnais, Chris Marker e Ghislain Cloquet.[1][2][3]
«Quando gli uomini muoiono entrano nella storia. Quando le statue muoiono entrano nell’arte. Questa biologia della morte è ciò che chiamiamo cultura»
Il documentario verte sull'"arte negra" e sul suo loro ruolo nella cultura africana messa in pericolo dalla colonizzazione europea.[1] Viene analizzato quanto dell'arte africana rimane messo in contrapposizione con la violenza del colonialismo europeo che ne ha cancellato gran parte non ritenendola degna; l'arte africana viene quindi confrontata con quella dell'antica romana, quella indiana e giapponese, trovando analogie e somiglianze notevoli.[4]
Il documentario venne girato da Chris Marker e Alain Resnais insieme al direttore della fotografia Ghislain Cloquet[1] dal 1950 al 1953 in Africa e in Francia su commissione della rivista letteraria francese Présence africaine[5] e dal relativo collettivo fondato da Alioune Diop che propone ai due cineasti di realizzare un documentario sull'"arte negra", un concetto relativamente nuovo nei primi anni cinquanta e alquanto contestato in quanto i paesi colonizzatori ritenevano i popoli africani incapaci di creazione artistica.[1] i due cineasti, in contrapposizione con lo scrittore André Malraux, ipotizzano un'unità stilistica dell'arte africana denunciando la mancanza di considerazione di questa da parte dell'Europa colonizzatrice.[5] il commento fuori campo è dell'attore Jean Negroni.[4]
Il documentario vinse il premio Jean Vigo nel 1954 e venne proiettato al Festival di Cannes nel 1953; venne però censurato dal Centre National de la Cinématographie fino al 1963 per temi anti-imperialisti e contestatari.[5]