Lezioni di filosofia della storia | |
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Titolo originale | Vorlesungen über die Philosophie der Geschichte |
Ritratto di Hegel | |
Autore | Georg Wilhelm Friedrich Hegel |
1ª ed. originale | 1837 |
Genere | saggio |
Sottogenere | filosofico |
Lingua originale | tedesco |
Le Lezioni sulla filosofia della storia (in tedesco: Vorlesungen über die Philosophie der Geschichte), tenute da Georg Wilhelm Friedrich Hegel nel 1821, 1824, 1827 e 1831 nella Humboldt-Universität zu Berlin, furono raccolte e pubblicate nel 1837 in questa opera postuma da Eduard Gans e dal figlio Karl von Hegel.
«La ragione governa il mondo e [...] quindi anche la storia universale procede razionalmente.[1]»
Hegel vuole dimostrare che la storia segue i dettami della ragione e che quindi sia possibile una filosofia della storia che riveli come il progresso storico mondiale sia dovuto al procedere dialettico e quindi allo svolgimento nella storia dello Spirito assoluto. Non sono le cose che procedono dall'Assoluto, ma l'Assoluto è questo stesso procedere. L'Assoluto non è una realtà trascendente che guida la storia ma esso stesso si realizza nella storia. Da ciò se ne deduce che per Hegel la realtà infinita è opera di un soggetto che tiene i fili della storia e che parla attraverso i suoi uomini, quegli uomini che la storia l'hanno sempre fatta in prima persona, che come strumenti nelle mani di questo ineluttabile essere supremo, ne operano il naturale svolgimento. Cosicché le vicende del mondo non sono estranee alla storia dello Spirito perché la storia del mondo è la storia stessa di Dio, è la storia dell'avvento dello Spirito, del realizzarsi della Ragione.
«Fine della storia del mondo è dunque che lo spirito giunga al sapere di ciò che esso è veramente, e oggettivi questo sapere, lo realizzi facendone un mondo esistente, manifesti oggettivamente se stesso. L'essenziale è il fatto che questo fine è un prodotto. Lo spirito non è un essere di natura, come l'animale; il quale è come è, immediatamente. [...] In questo processo sono dunque essenzialmente contenuti dei gradi, e la storia del mondo è la rappresentazione del processo divino, del corso graduale in cui lo spirito conosce se stesso e la sua verità e la realizza.[2]»
La storia nella concezione illuminista prima di Hegel, veniva sempre vista come un susseguirsi caotico di eventi, spesso dominati dal caso, suddivisibili in epoche dominate dalla ragione ed in periodi oscuri. Hegel, invece, rigetta l'idea della casualità a favore della causalità. Se l'Assoluto è ragione, allora essa dominerà anche la Storia: ma dire che la storia è razionale significa che essa non è un succedersi casuale di eventi, bensì è basata su un rapporto di causa-effetto, in base al quale la distinzione fra essere e dover essere svanisce.
Dalla fondamentale formula hegeliana «Ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale»[3] consegue che è «inconcepibile che nella realtà, ivi compresa quella degli eventi storici, vi sia qualcosa refrattaria al pensiero». In altri termini Hegel afferma che tutto «ciò che è accaduto o accade, era giusto che accadesse, è giusto che accada: ciò che è stato, doveva essere»[4] e perciò tutto ciò che si è realizzato doveva realizzarsi. I progetti e i tentativi che non si sono realizzati non dovevano realizzarsi, in quanto non erano adeguati alla razionalità storica. La storia, in pratica è già come dovrebbe essere, e non potrebbe essere altrimenti.[5]
Lo spirito oggettivo creando la storia la indirizza sempre verso un fine positivo anche quando sembra prevalere il negativo che invece è sempre transitorio e necessario gradino su cui si esercita il progresso storico:
«Noi vediamo un enorme quadro di eventi e di azioni, di infinitamente varie formazioni di popoli, stati, individui, in un succedersi instancabile... dappertutto vengono proposti e perseguiti fini... Diffuso su tutti questi eventi e casi noi vediamo un umano agire e soffrire, una realtà nostra dovunque e perciò dovunque una inclinazione o un'avversione del nostro interesse... Talora vediamo il più vasto corpo di un interesse generale procedere con maggiore difficoltà, e disgregarsi lasciato in preda ad infinito complesso di piccoli rapporti; talora vediamo nascere il piccolo da un enorme dispiegamento di forze, e l'enorme da ciò che appariva insignificante... e se una vien meno, ecco che un'altra ne prende il posto.[6]»
In questo procedere apparentemente contraddittorio si segnala come prevalente l'elemento del "mutamento" che indica come dal negativo, dalla morte rinasca la vita, il positivo:
«osservando la vicenda di individui, popoli e stati, che per un certo tempo esistono... e quindi scompaiono, è la categoria del mutamento... A questa categoria del mutamento è però senz'altro connesso anche l'altro motivo, che dalla morte sorge nuova vita.[7]»
La molla del divenire storico sembrano essere le passioni umane, gli istinti egoistici che prevalgono su ogni diritto e morale di fronte ai quali gli uomini di buona volontà e retto agire sembrano abbandonarsi allo sconforto e al fatalismo:
«Se consideriamo questo spettacolo delle passioni e ci poniamo innanzi agli occhi, nella storia, le conseguenze della loro violenza, della irragionevolezza che è connessa non solo ad esse ma anche, e si potrebbe persino dire soprattutto, a quelle che sono buone intenzioni, scopi giuridicamente legittimi, se guardiamo al male, in ogni sua forma, al tramonto dei regni più fiorenti che lo spirito umano abbia prodotto, se consideriamo, con la più profonda compassione per la loro angoscia senza nome, gl'individui, non possiamo concludere se non nel compianto per questa universale transitorietà, ed anzi, – giacché questo tramontare è opera non solo della natura ma anche della volontà umana – nel cordoglio morale, nello sdegno dello spirito buono, se ve n'è tale in noi, per simile spettacolo. Con quei risultati si può comporre uno dei più terribili quadri, senza necessità di accentuazioni oratorie, solo mettendo insieme esattamente le calamità sofferte da quanto di più splendido è esistito in fatto di popoli e di stati, di virtù private e d'innocenza; e in tal modo si può spingere il sentimento sino al più profondo e inconsolabile cordoglio, che non è compensato da nessun risultato conciliante, e nei riguardi del quale noi organizziamo la nostra difesa o ricuperiamo la nostra libertà solo pensando: – è andata così, è il destino; non c'è nulla da fare. Oppure ne usciamo tornando, dalla sazietà che ci può arrecare questa riflessione di tristezza, al nostro senso della vita, all'attualità dei nostri scopi e interessi, i quali esigono non un cordoglio per il passato ma la nostra attività: tornando persino all'egoismo, che stando sulla riva tranquilla gode sicuro delle lontane visioni di confuse rovine. Ma, pure quando consideriamo la storia come un simile mattatoio, in cui sono state condotte al sacrificio la fortuna dei popoli, la sapienza degli stati e la virtù degli individui, il pensiero giunge di necessità anche a chiedersi in vantaggio di chi, e di qual finalità ultima siano stati compiuti così enormi sacrifici.»
Le stesse sconsolate disperate considerazioni aveva fatto Goethe scrivendo che «La storia è un tessuto di assurdità per il pensatore superiore»[8] e in una conversazione con lo storico Heinrich Luden osservava pessimisticamente:
«E anche se voi foste in grado di interpretare e di esaminare tutte le fonti, che cosa trovereste? Niente altro che una grande verità, che è stata scoperta da gran tempo e di cui non occorre cercare la conferma: la verità cioè che in ogni tempo e in ogni luogo la condizione umana è stata miserabile. Gli uomini sono stati sempre preoccupati e angosciati, si sono tormentati e torturati reciprocamente, hanno reso difficile a sé ed agli altri quel po' di vita loro concesso e non sono stati capaci di apprezzare e godere la bellezza del mondo e la dolcezza dell'esistenza, loro offerta da quella bellezza... Soltanto per pochi la vita è stata comoda e piacevole. I più, dopo aver sperimentato il gioco della vita per un certo tempo, hanno preferito andarsene piuttosto che cominciare di nuovo. Ciò che offriva e offre loro ancora un attaccamento alla vita era ed è la paura della morte. Così è, così è stato, così anche rimarrà. Questo è dopotutto il destino degli uomini. Di quale testimonianza vi è ancora bisogno? [9]»
Nella prefazione del libro Hegel afferma che la storia è assimilabile a un banco da macellaio per la violenza e l'immoralità degli atti che rimessa vengono commessi sia dalla natura che per volontà del genere umano. Al di là della moralità e della religione, le singole storture morali trovano giustificazione nel fatto che concorrono a formare il senso pieno della ragione e dello spirito del mondo, che si fa nella storia e che il mondo dirige. Moralità e religione trovano senso non in una razionalità esterna la storia, bensì all'interno di quest'ultima. Qualsiasi attività, anche quella di un contadino o di un pastore, sono degne di considerazione nella storia perché sono manifestazioni dalla realizzazione dello Spirito assoluto.[10]
A che scopo dunque, come sostiene Hegel, non ci si deve arrestare a questo punto e cercare invece lo «scopo finale» di questa tragica realtà? Questa per Hegel è una concezione che proviene dall'oriente che vede nel rogo della storia la rinascita identica di ciò che è bruciato. Nel nostro pensiero occidentale invece lo spirito nella storia non si presenta mai nella stessa condizione iniziale ma sempre «accresciuto e trasfigurato». L'esegesi della Bibbia conferma Hegel della sua teoria: Dio si serve della storia in funzione provvidenziale per realizzare i suoi fini. Ma la provvidenza rimane spesso confusa al nostro intendere: i suoi disegni sono spesso misteriosi. Occorre quindi che intervenga la ragione, la filosofia della storia, che ci mostra la storia come una progressiva realizzazione del regno di Dio e la stessa filosofia della storia come una teodicea.[11]
Ma se gli uomini non sono che strumenti della provvidenza, dello Spirito assoluto che agisce tramite loro nella storia secondo i suoi fini che senso ha la libertà dell'uomo? Hegel sostiene che bisogna distinguere tra quegli uomini, che sono la maggioranza, che si limitano a conservare la storia e quegli individui eccezionali, gli "individui cosmico-storici" che hanno la chiara visione di quei superiori fini dello Spirito del mondo che i comuni mortali ignorano. Sono questi uomini eccezionali, Alessandro Magno, Cesare, Napoleone a realizzare il destino di una nazione o di un popolo secondo la volontà del Weltgeist, lo "Spirito del mondo", lo stesso Assoluto, che si incarna volta per volta nei singoli popoli, come spirito del popolo che dà la sua impronta nella civiltà dominando, anche con la guerra, il resto del mondo.
«Questo popolo è nella storia universale, per quest'epoca — e può fare epoca in essa, soltanto una volta — il dominante. Di fronte a questo suo diritto assoluto, di essere portatore dell'attuale grado di sviluppo dello spirito universale, gli spiriti degli altri popoli sono senza diritto, ed essi, come coloro la cui epoca è passata, non contano più nella storia universale.[12]»
Realizzato questo scopo, quando quel popolo comincerà a declinare, lo spirito del mondo emigrerà in altri e migliori popoli e quei grandi personaggi «raggiunto che sia lo scopo, somigliano a vuoti involucri che cadono» [13]
In tutto questo mutamento agirà l'astuzia della Ragione (List der Vernunft) che opera attraverso la guerra, che Hegel vede come un atto necessario per determinare i rapporti di forza e stabilire le misure dei diritti di un popolo sull'altro. Gli uomini credono che la guerra sia semplicemente motivata da interessi materiali, in realtà ogni guerra è una guerra di idee in cui saranno sempre le migliori a prevalere.
La storia è un succedersi di popoli, divisi in coloro che dominano il mondo e coloro che vengono dominati, allo stesso modo che fra gli individui, suddivisi in dominatori e dominati (in base al rapporto signore-servo). E come gli individui, anche i popoli nascono, crescono e muoiono, per lasciare spazio a nuovi individui e nuovi popoli che continueranno a perseguire quell'obiettivo che è l'autocoscienza dello Spirito.
Il fine della storia è la libertà dello spirito, che per Hegel si manifesta nello Stato. I mezzi per conseguire questo fine sono gli individui e le loro passioni: queste spingono ogni individuo ad imprimere al mondo, alla realtà e alla storia, questa o quella direzione, in modo sempre necessario e in progressione.
I momenti in cui si realizza la storia universale sono tre:
Hegel vede nella monarchia costituzionale, sebbene intesa in senso non parlamentare, l'organica sintesi di democrazia, aristocrazia e monarchia e quindi la migliore realizzazione dello Stato.
Hegel vede nello Stato prussiano, e nella sua abolizione dei privilegi nobiliari - fatta eccezione, come rileverà Marx, della legge sul maggiorascato [16] la migliore realizzazione dello Stato. Infatti solo l'uguaglianza fra tutti i cittadini fa sì che il singolo individuo possa sentirsi parte del tutto ma sempre sotto la suprema autorità della legge e dello Stato.
Amico e protetto del massone Goethe[17][18], nel suo libro Lezioni sulla filosofia della storia Hegel descrive la massoneria come un'organizzazione che ha contribuito alla promozione della libertà e della tolleranza religiosa.