Liberazione di san Pietro | |
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Autore | Raffaello Sanzio |
Data | 1513-1514 |
Tecnica | affresco |
Dimensioni | 500×660 cm |
Ubicazione | Musei Vaticani, Città del Vaticano |
Coordinate | 41°54′12.16″N 12°27′21.39″E |
La Liberazione di san Pietro è un affresco (circa 660x500 cm) di Raffaello[1], databile al 1513-1514 e situato nella Stanza di Eliodoro, una delle Stanze Vaticane.
I primi disegni per gli affreschi della stanza poi detta di Eliodoro, vennero approntati da Raffaello già nell'estate del 1511, quando i lavori alla Stanza della Segnatura non erano ancora terminati. In particolare la scelta dei soggetti, legati a interventi miracolosi per la salvaguardia della Chiesa, venne suggerita dal pontefice e rifletteva il duro momento dopo le sconfitte contro i francesi, che avevano portato alla perdita di Bologna e alle minacce continue di eserciti stranieri nella penisola. La liberazione di Pietro in particolare rappresentava il trionfo del primo pontefice per intervento divino, al culmine delle sue tribolazioni[2].
Per eseguire l'affresco Raffaello dovette distruggere l'opera di Piero della Francesca. Ridipinture riparatorie si trovano nello sfondo[3].
Due finte tabelle nello sguancio della finestra ricordano il completamento dell'affresco già nel pontificato di Leone X: LEO. X. PONT. MAX. ANN. CHRIST. MDXIIII. PONTIFICAT. SVI. II.[3] Durante la Repubblica Romana instaurata dai giacobini e successivamente nel periodo napoleonico, i francesi elaborarono alcuni piani per staccare gli affreschi e renderli portabili. Infatti, venne espresso il desiderio di rimuovere gli affreschi di Raffaello dalle pareti delle Stanze Vaticane e inviarli in Francia, tra gli oggetti spediti al Musee Napoleon delle spoliazioni napoleoniche[4], ma questi non vennero mai realizzati a causa delle difficoltà tecniche e i tentativi falliti e disastrosi dei francesi presso la Chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma[5].
Dell'opera esiste una "prima idea" nel Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi, in cui si notano varie differenze e soprattutto una simmetria più stringata[6].
La scena è stata resa da Raffaello fortemente unitaria nonostante l'articolarsi della parete in tre zone, a causa dell'apertura della finestra, che Raffaello riempì con tre momenti del racconto. Al centro, al di là di una grata tra oscure e massicce cortine murarie, avviene l'apparizione radiosa dell'angelo nel carcere, dove Pietro giace ancora profondamente immerso nel sonno e avvinto dalle catene; l'apparizione luminosa dell'angelo e le sbarre in controluce generano un sorprendente effetto di profondità spaziale[7]. L'emanazione luminosa arriva a toccare tutti gli elementi della scena, comprese le mura carcerarie, dove permangono bagliori rossicci[8]. Pietro appare vecchio e stanco: secondo alcuni la raffigurazione alluderebbe alla morte di Giulio II (1513), liberato dal "carcere terreno"[7], oppure alla liberazione di Leone X, ancora cardinale, dalla prigionia che seguì la battaglia di Ravenna[8].
A destra l'angelo conduce l'apostolo fuori dal carcere, in un'atmosfera tra sogno e realtà, evocata anche dalle guardie miracolosamente cadute nel sonno; a sinistra altri soldati scoprono la fuga, mentre si agitano al chiarore della luna e dei bagliori delle fiaccole, che accendono le loro armature di riflessi[3].
Sono presenti ben quattro tipi diversi di luce: la luna, che si riflette nelle armature dei soldati; la fiaccola, con il suo riverbero fluttuante; la luce divina, che ricorda quella presente ne "Il sogno di Costantino"; infine c'è la luce della finestra sottostante (nell'immagine è fotografata chiusa) che si somma alla luce dell'angelo. L'apertura alla base del dipinto infatti non è disegnata, bensì è una finestra reale. Il racconto deriva dagli Atti degli Apostoli (XII, 6 e ss.). La luce è assoluta protagonista della scena notturna, e ha come unico precedente conosciuto il Sogno di Costantino di Piero della Francesca ad Arezzo[3]. Il tema del sogno si ritrova anche nella scena biblica corrispondente sulla volta, la Scala di Giacobbe.