Lucio Tillio Cimbro (in latino Lucius Tillius Cimber; Roma, 85 a.C. circa – Filippi, 42 a.C.) è stato un politico romano, tra i promotori della congiura che causò l'uccisione di Gaio Giulio Cesare nel 44 a.C.
Quando Giulio Cesare ottenne il potere supremo, Cimbro fu uno dei suoi maggiori sostenitori[1][2] ed anche Cicerone sfruttò la sua influenza presso il Dittatore per conto di un amico[3]. In cambio di questa sua devozione Cimbro ottenne il governo della Bitinia. Comunque, per ragioni non certe successivamente passò tra le file dei cospiratori; secondo Seneca lo fece per alcune sue aspirazioni disattese.
Il giorno fatale delle Idi di marzo Cimbro era presente in Senato con il pretesto di presentare una petizione a Cesare per pregarlo di richiamare il fratello dall'esilio. Cesare gli fece cenno e Cimbro, prendendo la toga del Dittatore con entrambe le mani, lo tirò per collo in modo da tirarlo in avanti.
Dopo l'assassinio Cimbro ritornò nella sua provincia e raccolse una flotta, con la quale (se si vuole credere all'autore delle Epistole dello Pseudo-Bruto ed indirizzate a Cicerone) sconfisse Publio Cornelio Dolabella. Quando Cassio e Bruto marciarono in Macedonia, Cimbro mise a disposizione la flotta e il suo servizio fu elogiato dai cesaricidi[4].
Morì combattendo nella battaglia di Filippi nel 42 a.C..
Era un uomo attivo ed audace, ma dedito al vino e alla vita dissoluta, tanto che, come riportato da Seneca[5], in modo scherzoso chiedeva frequentemente:
«Ego quemquam feram, qui vinum ferre non possum?»