I ludi (singolare ludus) erano giochi pubblici tenuti nel mondo romano antico come forma di intrattenimento della popolazione. Spesso i ludi erano organizzati in occasione di festività religiose romane, o costituivano addirittura uno dei momenti principali di queste festività. Nel periodo imperiale, in particolare, i ludi arrivarono ad essere considerati parte importante del culto imperiale.
I primi ludi consistevano in corse equestri a bordo di carri tenute nel circo - i cosiddetti ludi circenses, appunto - e in seguito si aggiunsero altre esibizioni, come i ludi gladiatorii, ovvero combattimenti tra gladiatori, le venationes, ovvero gare di caccia e uccisione di animali selvatici, e i ludi scaenici, ovvero gare di recitazione.
I ludi erano organizzati durante giorni di sospensione delle attività private, i quali non erano affatto esigui nel corso dell'anno, se si pensa che durante l'Età Imperiale i giorni dedicati a queste manifestazioni arrivarono ad essere più di 135.[1] Sebbene il lato dell'intrattenimento può avere messo in secondo piano il sentimento religioso, anche nella tarda antichità i ludi venivano intesi come parte del culto degli dèi tradizionali, e i Padri della Chiesa mettevano in guardia i cristiani dal partecipare ai festeggiamenti.[2]
La forma singolare ludus, che significa "gioco, sport" ha diversi significati in latino.[3] Il plurale viene usato per "giochi" in un senso analogo ai festival di giochi greci, come i giochi panellenici.[4] Lo studioso Isidoro di Siviglia, ad ogni modo, divide le forme di ludus in atletico, circense, gladiatorio e scenico.[5]
In origine, tutti i ludi sembra che fossero offerte votive (ludi votivi) per grazia ricevuta. Nel 366 a.C., i ludi romani divennero i primi giochi ad essere introdotti nel calendario religioso come un evento annuale sponsorizzato dallo stato nel suo complesso.[6] I giochi in un'arena venivano anticipati da una parata (pompa circensis) che conteneva dei concorrenti, giovani rampolli della nobiltà romana a cavallo, danzatori armati, musicisti, un coro di satiri, e immagini degli dèi. Come prodotti dalle vittorie militari, i ludi erano spesso connessi ai trionfi in battaglia. La prima venatio (una caccia a delle bestie feroci) documentata venne rappresentata nel 186 a.C. da Marco Fulvio Nobiliore come parte dei suoi ludi votivi,
Essendo cerminonie religiose, i ludi venivano organizzati da diversi collegi di preti; durante la Repubblica romana, venivano presentati dai consoli, ma vennero principalmente associati alle responsabilità degli edili. Sebbene per i ludi venissero usati soldi pubblici, l'ufficiale in carica amentava costantemente lo splendore dei suoi giochi grazie ai suoi soldi come forma di pubbliche relazioni.[7] Lo sponsor era capace di pubblicizzare la sua ricchezza, mentre dichiarava che intendeva condividerla per il bene comune. Sebbene alcuni uomini con lo sguardo al consolato evitassero di diventare edili a causa delle enormi spese che avrebbero affrontato, quelli con risorse sufficienti spendevano molto per ottenere il favore del popolo. I festival religiosi a cui i ludi erano connessi contempavano anche banchetti pubblici, e spesso lavori pubblici come la costruzione o la rimessa a nuovo di un tempio.[8]
Dopo l'assassinio di Giulio Cesare durante le idi di marzo del 44 a.C., Marco Bruto capì che una grossa parte del popolo non lo guardava come un liberatore, ma come l'assassino di un adorato campione, perciò sponsorizzò i Ludi Apollinares, tenuti ogni anno dal 5 al 13 di luglio. Ottaviano, l'erede di Cesare, una volta lo superò con i Ludi Victoriae Caesaris, giochi in onore della vittoria di Cesare, che si svolsero dal 20 al 28 luglio, in contemporanea con un festival in onore di Venere genitrice, la divinità protettiva di Cesare e matriarca divina della gens Iulia. Fu durante quei ludi, che servirono anche come giochi funerari, che la cometa apparve per annunciare la deificazione di Cesare. Ottaviano riconosceva il valore dei festival nel riunire la gente, e come Augusto istituì nuovi ludi nel suo programma di riforme religiose; gli spettacoli e gli intrattenimenti pubblici vennero inglobati dal culto imperiale.[9]
I ludi compitalicii erano intrattenimenti che si tenevano nei quartieri o nelle associazioni di comunità di Roma (vici), in congiunzione con i Compitalia, la festa del nuovo anno, in data variabile tra i Saturnalia e il 5 gennaio,[10] in onore dei Lari degli incroci. Nella tarda Repubblica, delle performance venivano eseguite nelle intersezioni principali dei quartieri della città nello stesso giorno.[11] Durante la guerra civile degli anni 80, questi ludi diedero spesso vita a espressioni politiche popolari fatte da organizzazioni di quartiere. I liberti avevano un ruolo chiave, e anche gli schiavi partecipavano alle feste.
Nel 67 a.C., i Compitalia vennero interrotti da una rivolta ai ludi,[12] che furono anche la scena delle manifestazioni nel 66-65 a.C. Questa agitazione fu nel primo caso una risposta al processo di Gaio Manilio, che aveva indietreggiato sulle riforme riguardanti i diritti di voto dei liberti, mentre la seconda agitazione venne causata dagli oscuri eventi della prima congiura di Catilina.[13] A causa di ulteriori disagi, il Senato abolì i ludi compitalicii nel 64 a.C.[14]
Un tribuno della plebe senza nome sostenne gli sforzi per avere i ludi nel 61 a.C., ma il console Quinto Cecilio Metello Celere soppresse il tentativo.[15] Nel 58 a.C., Publio Clodio Pulcro, che aveva rinunciato al suo status di patrizio per diventare tribuno del popolo, ripristinò il diritto di associazione, ma ancora prima che la sua legge diventasse effettiva, il suo aiutante Sesto Clelio aveva trovato un modo per organizzare i ludi per il nuovo anno. Il console Lucio Calpurnio Pisone, suocero di Cesare, permise i giochi, sebbene le organizzazioni che li gestivano fossero ancora fuorilegge.[16] Cesare bandì nuovamente i collegia e i ludi nel 46 a.C.
Nel 7 a.C., Augusto riorganizzò Roma per motivi amministrativi in 265 distretti, che continuavano comunque ad essere chiamati vici.[17] Un'immagine del Genio di Augusto adesso stava tra i Lari agli altari degli incroci, e i ludi, una volta considerati pericolosamente sovversivi, divennero espressione della pietas imperiale.[18]
I ludi circenses erano giochi che si tenevano nei circhi. Il Circo Massimo era in origine un luogo per corse di bighe, ma potevano essere messi in scena anche eventi di atletica, gare e cacce alle bestie.[19] I giochi venivano preceduti da una parata di apertura, la pompa circensis. I ludi circenses comparivano regolarmente nelle celebrazioni dei trionfi di Roma o nelle dediche dei principali edifici. Facevano parte delle festività più importanti e delle feste, come i Floralia, i ludi romani e i ludi plebeii.[20] Durante l'età imperiale, i giochi da circo erano spesso aggiunti ai festival per i quali non erano tradizionalmente celebrati nel periodo repubblicano.[21] I giochi da circo venivano tenuti in diverse province in tutto l'impero, come viene indicato dai resti archeologici di binari e strutture di supporto, sebbene molte zone avessero strutture temporanee su terreni adatti.[22]
Sono esistiti più di quaranta diversi tipi di ludi, ognuno con un nome particolare:
«Sed et Troiae lusum edidit frequentissime maiorum minorumque puerorum, prisci decorique moris existimans clarae stirpis indolem sic notescere. In hoc ludicro Nonium Asprenatem lapsu debilitatum aureo torque donavit passusque est ipsum posterosque Torquati ferre cognomen. Mox finem fecit talia edendi Asinio Pollione oratore graviter invidioseque in curia questo Aesernini nepotis sui casum, qui et ipse crus fregerat.»
«Inoltre organizzò spesso i giochi troiani tra ragazzi di età maggiore e minore, pensando che fossero una nobile usanza antica per mettere così in evidenza il valore di una stirpe illustre. Durante queste gare Lucio Nonio Asprenate era rimasto contuso in seguito ad una caduta, [Augusto] gli regalò una collana d'oro e lo autorizzò a portare, lui stesso e i suoi discendenti, il nome di Torquato. Più tardi però mise fine a queste manifestazioni, poiché l'oratore Asinio Pollione, carico di odio, si era lamentato davanti al Senato per il caso di suo nipote Esernino, che si era rotto le gambe.»
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