Marco Antistio Labeone (in latino Marcus Antistius Labeo; ... – 10 o 11 d.C.) è stato un giurista romano dell'età augustea, allievo del giureconsulto Trebazio.
Di origine sannita, probabilmente di Ligures Baebiani, presso Benevento, e figlio del giurista Pacuvio Antistio Labeone,[1] fu per tradizione familiare un convinto repubblicano. Il suo più famoso rivale, sia nella vita politica per le opposte idee politiche, sia nell'ambito più specifico della giurisprudenza, fu Gaio Ateio Capitone, famosissimo giureconsulto romano.
I due rivali fondarono le due più importanti scuole di diritto della Roma antica, caratterizzate da un differente approccio al diritto:[2]
Trovandosi a dover vivere il momento di passaggio dalla repubblica al principato non esitò a schierarsi a favore della prima, arrivando persino a rifiutare il consolato offertogli da Augusto. Il suo cursus honorum, secondo quanto ci riferisce Tacito negli Annales, si fermò dunque alla carica di pretore. Svetonio racconta di lui un episodio curioso:
«Quando vennero selezionati i senatori, ciascuno doveva scegliersi un collega ed Antistio Labeone designò Marco Emilio Lepido, un tempo nemico di Augusto e quindi in esilio. Sentendosi chiedere da Augusto se non ritenesse ve ne fossero altri più degni, rispose che ognuno aveva le proprie opinioni. Malgrado ciò, nessuno fu punito per la schiettezza o per la propria ostinazione.»
Tacito ci fornisce un giudizio alquanto positivo su Labeone, proprio in raffronto al rivale Capitone:
Labeo incorrupta libertate et ob id fama celebratior, Capitonis obsequium dominantibus magis probatur. Illi, quod consulatum adeptus est, odium ex invidia oriebatur. |
Labeone serbava incorrotto il senso della libertà e godeva per questo di più larga rinomanza, mentre la condotta ossequiosa di Capitone lo rendeva più caro ai dominatori. Al primo, appunto perché non salì oltre la pretura, questa ingiustizia procurò maggior considerazione: il secondo, per avere ottenuto il consolato, si attirò l'odio che nasce dall'invidia. |
Labeone fu anche un fecondissimo scrittore di opere giuridiche. Secondo quanto scrive il giurista Pomponio nel Liber singularis enchiridii, fu l'autore di ben 400 opere giuridiche, un numero certo di assoluta eccezionalità nella Roma antica:
«Pomponius libro singulari enchiridii: Ex his Ateius consul fuit: Labeo noluit, cum offerretur ei ab Augusto consulatus, quo suffectus fieret, honorem suscipere, sed plurimum studiis operam dedit: et totum annum ita diviserat, ut Romae sex mensibus cum studiosis esset, sex mensibus secederet et conscribendis libris operam daret. Itaque reliquit quadringenta volumina, ex quibus plurima inter manus versantur. Hi duo primum veluti diversas sectas fecerunt: nam Ateius Capito in his, quae ei tradita fuerant, perseverabat, Labeo ingenii qualitate et fiducia doctrinae, qui et ceteris operis sapientiae operam dederat, plurima innovare instituit.[2]»
Tra i più famosi i Libri posteriores, e i commenti Ad edictum, oltre alle opere di commento agli editti del pretore urbano e del pretore peregrino.
È inoltre a lui attribuita la prima definizione di contratto nella storia. Questa fu riportata da Ulpiano nel Digesto come "quelle cose che sono compiute, quelle che sono gestite e quelle che sono contratte...".
Delle sue opere, oltre a qualche titolo, sono giunti a noi solo alcuni frammenti di testo.
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