Marina Gamba (Venezia, 1570 circa – Venezia, 21 agosto 1612) convisse per molti anni con Galileo Galilei [1] che probabilmente la conobbe a Venezia dove spesso si recava durante il suo soggiorno padovano. [2]
Dalla relazione tra la donna e Galileo nacquero tre figli [3]: Virginia (1600-1634), Livia Antonia (1601) e Vicenzo Andrea, dei quali solo quest'ultimo, per intervento del Granduca di Toscana, nel 1619 fu riconosciuto col nome di Vincenzio come figlio legittimo da Galilei che pure accoglieva e si prendeva cura nella casa di Padova della convivente e dei figli come appartenenti alla sua famiglia .
In occasione del trasferimento a Firenze nel 1610 Galilei lasciò Marina Gamba e affidò la figlia Livia alla nonna, Giulia Ammannati, con la quale già conviveva l'altra figlia Virginia, e lasciò il figlio Vincenzio a Padova alle cure della madre e, dopo la morte di questa, a una tale Marina Bartoluzzi che venne confusa con la stessa Marina Gamba tanto da supporre che questa si fosse sposata con un certo Giovanni Bartoluzzi.[4]
In seguito, resasi difficile la convivenza delle due bambine con la nonna paterna, Galileo fece entrare le figlie nel convento di San Matteo, ad Arcetri (Firenze), nel 1613, forzandole a prendere i voti non appena compiuti i rituali sedici anni: Virginia assunse il nome di suor Maria Celeste, e Livia quello di suor Arcangela; mentre la prima si rassegnò alla sua condizione e rimase in costante contatto epistolare con il padre, Livia non accettò mai l'imposizione paterna.
Il comportamento di Galileo è stato variamente giudicato: vi è chi sostiene che egli le chiuse in convento perché «doveva pensare a una loro sistemazione definitiva: cosa non facile perché, data la nascita illegittima, non era probabile un futuro matrimonio» [5] come se egli non potesse legittimarle, come fece con il figlio Vincenzio e come se una monacazione coatta fosse preferibile a un matrimonio non prestigioso; altri ritengono che «alla base di tutto stava il desiderio di Galileo di trovare per esse una sistemazione che non rischiasse di procurargli in futuro alcun nuovo carico [...] tutto ciò nascondeva un profondo, sostanziale egoismo».[6]