La migrazione cubana ha profondamente influenzato la moderna città di Miami, creando la cosiddetta "Cuban Miami" (in italiano "Miami cubana"). Tuttavia, Miami rispecchia anche le tendenze mondiali, come il crescente multiculturalismo e la multirazzialità; ciò riflette il mondo in cui le politiche internazionali hanno modellato le comunità locali.[1]
Circa 50 mila cubani, in maggioranza uomini d'affari e professionisti, arrivarono a Miami nei 15 anni successivi alla rivoluzione cubana. Tra coloro che arrivarono, ci furono anche figure dell'amministrazione di Fulgencio Batista. I cubani ricevettero aiuti di assimilazione dal governo federale e stabilirono affari nella città per ragioni economiche.[2]
Essenzialmente, la coesistenza della crescita e internazionalizzazione nella città ha perpetuato una polarizzazione sociale motivata etnicamente.[3] La crescente presenza di cubani a Miami è rimasta fedele alle loro regole culturali, costumi, lingua e affiliazioni religiose. Il flusso di immigrazione transnazionale definisce Miami come una metropoli in crescita e l'influsso cubano del XX secolo l'ha profondamente influenzata.[1]
Dal 2012, nell'area metropolitana di Miami sono presenti 1,2 milioni di persone con radici cubane. Sempre in riferimento a quell'anno, circa 400.000 cubani sono arrivati a Miami dal 1980.[2]
Grazie alla sua vicinanza geografica a Cuba, Miami era un luogo facile da raggiungere per i migranti cubani, i quali erano insoddisfatti per la povertà e le diverse dittature militari. Molte famiglie benestanti cubane mandavano anche i loro figli nelle scuole statunitensi, specialmente a Miami. Diversi leader politici cubani usarono Miami come base per organizzare delle operazioni contro il regime di Fulgencio Batista.[4]
Nel 1958 solamente circa 10.000 cubani vivevano a Miami, mentre varie famiglie benestanti visitavano spesso la metropoli, anche solamente per un solo giorno. L'industria del turismo di Miami si rivolgeva molto ai visitatori cubani e cercava di offrire più servizi possibili in spagnolo.[4]
Dopo la rivoluzione cubana del 1959, molti cubani iniziarono ad abbandonare il paese. Si insediarono in diversi luoghi negli Stati Uniti, ma soprattutto a Miami per la sua vicinanza a Cuba e per la cultura cubana già presente nella città. Molti si sarebbero sistemati nel quartiere di Little Havana a Miami o nella città di Hialeah grazie ad alloggi convenienti, nuovi lavori e talvolta l'accesso a imprese di lingua spagnola.[5]
Siccome i cubani divennero più stabili a Miami, più imprese e mezzi di comunicazione iniziarono a rivolgersi a un pubblico ispanofono. Molti nativi non ispanici bianchi iniziarono a trasferirsi fuori dalla città.[5]
L'immigrazione cubana ha evidentemente influenzato le demografie future di Miami. Per esempio, l'immigrazione di afroamericani a Miami fu ridotta durante gli anni '60 rispetto agli anni precedenti.[6] Questo è la conseguenza dei migranti cubani che concorrevano per lavoro che spesso si potevano permettere gli afroamericani di Miami. La riduzione di immigranti non ispanici dimostrava la crescente presenza di cubani a Miami. Miami "registra un basso tasso di emigrazione - 43,6 su 1.000. Questo, ovviamente, proviene dalla grande presenza cubana nella Contea di Dade ed è testimone del potere dell'enclave cubana a Miami".[7]
Fino al 1980 molti cubani arrivarono negli Stati Uniti a causa dell'esodo di Mariel. Ma altri, che già vivevano negli Stati Uniti, iniziarono a spostarsi verso il sud della Florida. Miami ha registrato 35.776 cubani migranti da altre zone degli Stati Uniti tra il 1985 e il 1990 e un'emigrazione di 21.231, principalmente verso altre regioni della Florida. I flussi verso e da Miami rappresentano il 52% della migrazione interregionale nel sistema di insediamento cubano.[7]
Molti cubani continuarono ad arrivare negli Stati Uniti, nello specifico a Miami, specialmente durante la crisi del 1994 e negli anni successivi. Man mano che i cubani immigravano e diventavano più stabili nella società americana, molte industrie cubane iniziarono a prosperare nell'area di Miami.[5]
Con l'emergente importanza dell'etnicità e i più frequenti effetti della segregazione, i cubani a Miami hanno provato a riaffermare la lingua spagnola. A Miami, era parlata la lingua spagnola in larga misura rispetto ad altre città con un'importante comunità ispanica; inoltre era parlata in contesti più diverse rispetto a qualsiasi altra città.[1] Il censimento del 1970 rivelò che il 24% della popolazione di Miami era ispanofona.[6] La lingua spagnola stava diventando consueta nella città dato che era parlata più ampiamente dall'élite cubana di Miami.[1] La lingua divenne notevolmente importante nel XX secolo come risultato di un influsso cubano e questo ebbe impatti sulle altre comunità non latine.
Le comunità non ispaniche iniziarono a opporsi all'aumento della lingua spagnola a Miami. Questo può essere visto nel movimento anti-bilinguista English Only, il quale si verificò nel 1980 dopo un lungo periodo di notevole immigrazione cubana e riforma sociale. La lingua stava diventando una pressante questione mentre "Miami ebbe il primo programma bilingue per le scuole pubbliche nel periodo moderno (1963) e il primo referendum di English Only (1980)".[8] Infatti, i dibattiti sul rendere l'inglese la lingua ufficiale della contea di Dade portarono a violente e pericolose sommosse negli anni '80.[9] I cubani sostenevano che, preservando la loro lingua, stavano preservando una componente fondamentale della loro cultura. Nel censimento del 2000, il 59,2% della popolazione della contea di Miami-Dade affermò di parlare spagnolo in casa.[10]
Nonostante i Media a Miami permettano all'etichettatura culturale di fiorire nella comunità, inoltre dipinge la crescente importanza e dominazione dei migranti cubani. Per esempio, il titolo dell'edizione del 14 giugno 1996 del Miami Herald recitava "Vanishing Spanish".[3] Il titolo si riferisce a, e deplora il fatto che, solo una piccola percentuale di recenti laureati erano fluenti nello spagnolo; mentre la maggioranza dei migranti cubani di seconda generazione parlavano uno spagnolo non perfetto e solo in casa.[3] Questo fu descritto come "una tendenza allarmante dato che erode il vantaggio di Miami della sua comunità bilingue e riduce la sua competitività economica".[3] Durante il XX secolo, molti giornali di lingua spagnola furono fondati a Miami. "Il Miami Herald creò nel 1976 un inserto in lingua spagnola, el Nuevo Herald".[11] Quest'aggiunta fu supportata largamente e "al 1981 la tiratura raggiunse le 83.000 copie nei giorni feriali e 94.000 nelle edizioni del sabato e della domenica. el Nuevo Herald è ora pubblicato come un giornale indipendente e segnala la tiratura di circa 100.000 copie nei giorni feriali. Siccome la popolazione ispanica è cresciuta e ha raggiunto un considerevole successo economico, si è anche spostata oltre i confini della città di Miami: giornali in lingua spagnola vengono ora pubblicati nelle vicine Hialeah e Fort Lauderdale. Questa espansione può anche essere vista in tutto il territorio dello Stato: a Tampa, Orlando e Immokalee ci sono giornali in lingua spagnola.[11] Essenzialmente, attraverso il finanziamento e la crescita di giornali ispanici, i migranti cubani stabilirono dei media latino-americani.
I cubani che arrivarono dopo il 1980 hanno dei legami più stretti con quelli a Cuba. Solitamente prendono dei voli charter da Miami a Cuba e viceversa.[2]
Nel 2016, Hillary Clinton ebbe un esito migliore rispetto a Obama in diversi quartieri densamente abitati da cubano-americani.[12]
Nella contea di Miami-Dade, durante le elezioni del 2020, i cubano-americani tesero a votare per Donald Trump.[13] I residenti di origini cubane spesso hanno avuto un antagonismo contro i movimenti di sinistra a causa delle associazioni con Fidel Castro.[14] Trump cercò di attirare questi elettori implementando una politica anti-Cuba.[15] Il corteggiamento dei cubani di Miami, inclusi coloro che sono arrivati recentemente negli Stati Uniti e i giovani, aiutò Trump a guadagnare i voti elettorali della Florida.[16] La contea di Miami-Dade complessivamente appoggia il Partito Democratico, ma la performance di Trump erose tra i cubani questa tendenza.[17]
Essendo luoghi di ritrovo comune, molti parchi nell'area metropolitana di Miami riflettono l'influenza della migrazione cubana sulla comunità e accennano alla cultura cubana.
A partire dai primi anni '70, il leader della comunità e urbanista Jesus Permuy tentò per primo di designare un parco per la comunità cubana esiliata.[18] Il parco proposto, talvolta controverso, era noto semplicemente come "Latin Park" (in italiano "Parco Latino") per la maggior parte dei suoi 10 anni di esistenza, e affrontò qualche rifiuto dai residenti non cubani. Nonostante ciò, il parco fu approvato all'unanimità dalla Commissione della Città di Miami e aprì finalmente nel 1980[19] con il nome di José Martí Park in onore all'icona cubana di José Martí.
Un altro parco degno di nota intitolato a una figura cubana popolare è Máximo Gómez Park, in onore a Máximo Gómez.[2] In aggiunta, altri parchi presentano monumenti e punti di riferimento in onore a figure cubane, come la scultura "MINOSO" nell'Optimist Park di Miami Lakes, scolpita dall'artista cubano Rafael Consuegra ed eretta in onore al giocatore di baseball cubano Minnie Minoso.