Nell'uso comune della lingua italiana, il termine «nave officina» può avere due accezioni diverse a seconda che si tratti di una nave mercantile o di una nave militare.
L'accezione corrente del termine nell'ambito della marina mercantile intende per nave officina (o anche nave stabilimento) una imbarcazione attrezzata per la prima lavorazione del pesce e per la sua conservazione.
A volte è erroneamente indicata come "nave fattoria" a causa dell'errata traduzione del termine inglese factory ship.[2][3]
La progressiva diminuzione del numero di balene nell'Atlantico settentrionale comportò, sul finire del XIX secolo l'abbandono delle stazioni baleniere. A tal proposito i cacciatori giunsero alla conclusione di varare navi officina, che non necessitavano la costruzione di costosi impianti a terra destinati a essere operativi per periodi troppo brevi per risultare economici, risultando preferibile effettuare tali processi a bordo. Ai primi del 900 i norvegesi furono i primi a varare simili vascelli, perfezionando altresì le tecniche venatorie e gli strumenti di caccia. Il primato tecnologico spetta però ai giapponesi, che giunsero a impiegare il sonar per primi sulle baleniere, al fine di rilevare la distanza e gli spostamenti dei cetacei.
Facente parte del naviglio ausiliario della flotta, è attrezzata, o specificatamente costruita, per fungere da nave officina in grado di riparare i danni subiti dalle unità da combattimento rendendo così più veloce il loro rientro in servizio (esempio la nave appoggio sottomarini USS Holland).
Nella Marina Militare italiana, che nel secondo dopoguerra e per tutta la guerra fredda ne ha fatto ampio uso, tale tipologia era classificata come moto officina costiera, o per brevità, con l'acronimo: "MOC".