In economia, nell'ambito della politica economica, con il termine politica industriale si indica l'insieme di misure adottate a livello politico statale e comprese appunto all'interno della politica economica, a sostegno del settore industriale o secondario di una nazione favorendone la conservazione e lo sviluppo in termini di produzione, produttività, fatturato, profitto e con esso i livelli occupazionali associati, con ricadute e benefici sull'intero sistema economico del paese in termini di crescita o conservazione dell'attuale livello di sviluppo economico. In concetto ha senso dunque nei modelli di economie pianificate ed economie miste, perdendo invece di senso nelle economie di mercato pure.
Un piano industriale statale in tal senso può ad esempio caratterizzarsi attraverso una programmazione economica che preveda sgravi fiscali e incentivi ad imprese per scongiurare fuga all'estero di capitali e aziende, finanziamenti per ricerca e sviluppo per aumentare competitività, scelte sulla tipologia di industria da privilegiare ecc. Ad esempio la politica industriale adottata dal regime fascista in Italia mirava all'autosufficienza economica della nazione italiana o autarchia[1]. Sempre in Italia particolarmente attivo in politica industriale fu l'IRI dal periodo fascista fino al 2002.
Il termine può riferirsi anche alla singola azienda privata (industria) inteso come insieme di decisioni strategiche assunte dal management aziendale per il benessere economico dell'azienda stessa (aumento dell'utile o profitto) ad es. attraverso opportune politiche di marketing, ampliamento di beni prodotti, riqualificazione e ristrutturazione dell'organizzazione aziendale ecc...
Politica industriale, in Dizionario di economia e finanza, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2012.
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