Prima apocalisse di Giacomo

La Prima apocalisse di Giacomo è un apocrifo del Nuovo Testamento di stampo gnostico, attribuito a Giacomo il Giusto, composto probabilmente in lingua greca ma conservatosi in lingua copta tra i Codici di Nag Hammadi (V.3) e nel Codex Tchacos (2). Il titolo dell'opera è Apocalisse di Giacomo, ma è detta "Prima" per distinguerla dall'omonima apocalisse presente subito dopo nel V codice, detta Seconda apocalisse di Giacomo. Fu composta tra l'ultimo ventennio del II e la prima metà del III secolo.

Si tratta di un dialogo concernente una rivelazione ("apocalisse") tra Gesù e Giacomo il Giusto, suo "fratello",[1] al riguardo della salvezza, intesa in senso gnostico come la liberazione dell'anima dalla sofferenza terrena ed il suo ritorno allo stato primordiale.[2]

La prima parte dell'opera (20,10-30,11) riporta il dialogo tra Giacomo e Gesù. Giacomo è timoroso per la sofferenza che gli sarà inferta a breve, assieme a Gesù; questi, invece, lo consola impartendogli degli insegnamenti di stampo gnostico sul ruolo dell'uomo nell'universo. Un riferimento indiretto e molto breve alla crocifissione (30,12-13) fa da cesura al flusso narrativo.[3]

All'inizio della seconda parte, il "Signore" ricompare e trasmette a Giacomo una serie di formule[4] che gli serviranno, dopo il martirio, durante la sua ascesa verso "Colui che è preesistente", per annullare i poteri ostili che tenteranno di ostacolarlo (32,23-36,1). Successivamente Giacomo riceve disposizioni sulla trasmissione segreta degli insegnamenti (36,13-38,11), poi Gesù commenta sul valore delle donne come discepoli (38,15-41,18) e Giacomo disconosce i dodici apostoli (42,20-24). La parte finale dell'opera, seriamente compromessa dalle lacune del testo, riporta una lunga narrazione del martirio di Giacomo.[3]

La versione in lingua copta conservatasi è datata tra la prima metà del IV secolo e la seconda metà del III secolo. Una datazione dell'originale in lingua greca è invece difficile da ottenere: gli studiosi sono in grado di dare una stima confrontando il contenuto dell'Apocalisse di Giacomo con l'evoluzione del pensiero gnostico: il testo evidenzia alcune dottrine (come la distinzione in Sophia superiore - "Achamoth" - ed inferiore - la Sophia vera e propria) che presuppongono una teologia valentiniana già completamente sviluppata, dunque una datazione non antecedente alla fine del II secolo. È comunque altamente probabile che nella composizione dell'Apocalisse sia stato utilizzato materiale precedente, verosimilmente dalla tradizione che aveva in Giacomo il proprio fondatore, quella giudeo-cristiana.[2]

Se l'importanza della figura di Giacomo il Giusto è indizio di un rapporto con la tradizione giudeo-cristiana,[5] e il riferimento ad Addai (36,15-24) suggerisce un ambiente siriano e dunque una cristianità semitica,[6] non tutti gli studiosi ritengono l'opera composta in ambiente giudaico cristiano.[3]

  1. ^ Che si intenda una parentela spirituale e non di sangue è chiarito dall'inizio dell'opera, in cui Giacomo dice: «È il Signore che mi parlò: "Osserva ora il completamento della mia redenzione. Ti ho dato un segno di queste cose, Giacomo, fratello mio. In quanto non senza ragione ti ho chiamato fratello mio, sebbene tu non sia mio fratello materialmente [...]"».
  2. ^ a b Wolf-Peter Funk, New Testament Apocrypha, volume 1, p. 315.
  3. ^ a b c William R. Schodel, The Nag Hammadi Library in English, p. 260.
  4. ^ Le formule derivano dalla tradizione dello gnosticismo valentiniano: si tratta di brani (Ireneo di Lione, Contro gli eretici 1.21.5; Epifanio di Salamina, Panarion 36.3.1-6) riguardanti riti per le persone in procinto di morire, resi in forma di dialogo (Schodel).
  5. ^ Egesippo, in Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica, 2.23.4,7; Vangelo secondo gli Ebrei, in Sofronio Eusebio Girolamo, De viris inlustris 2; Vangelo secondo Tommaso, 12.
  6. ^ Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica, 1.13.

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