Proteinasi K

Proteinasi K
Modello tridimensionale dell'enzima
Modello tridimensionale dell'enzima
Numero EC3.4.21.64
ClasseIdrolasi
Altri nomi
Tritirachium proteinasi alcalina; Tritirachium album serin proteinasi; Tritirachium album proteinasi K; endopeptidasi K.
Banche datiBRENDA, EXPASY, GTD, PDB (RCSB PDB PDBe PDBj PDBsum)
Fonte: IUBMB

La proteinasi K (nota anche come peptidasi K o proteasi K) è una serin proteasi ad ampio spettro, isolata originariamente nel 1974 dal fungo Engyodontium album (chiamato in precedenza Tritirachium album).[1] È in grado di idrolizzare la cheratina e agisce prevalentemente scindendo il legame peptidico adiacente al gruppo carbossilico di amminoacidi alifatici o aromatici con gruppi amminici in posizione alfa bloccati.

Questo enzima appartiene alla famiglia S8 delle proteasi e possiede una massa molecolare pari a 28,9 kDa.

La proteinasi K è attivata dagli ioni calcio ed esplica la sua azione scindendo preferenzialmente le proteine in prossimità di amminoacidi idrofobi (alifatici, aromatici, o amminoacidi idrofobi di altro genere). Sebbene il calcio non influenzi l'attività enzimatica, esso contribuisce alla sua stabilità. Le proteine possono essere digerite completamente se il tempo di incubazione è lungo e la concentrazione di proteasi è sufficientemente elevata. Rimuovendo gli ioni calcio la stabilità dell'enzima risulta ridotta, ma permane la sua attività proteolitica.[2] La proteinasi K ha due siti di legame per Ca2+, che si trovano vicino al centro attivo ma non sono direttamente implicati nel meccanismo catalitico. L'attività residua è sufficiente per digerire le proteine, motivo per cui la proteinasi K può essere utilizzata per purificare gli acidi nucleici in presenza di EDTA, composto usato per legare il calcio allo scopo di inibire le nucleasi.

La proteinasi K inoltre è stabile in un ampio intervallo di valori di pH (4-12,5), con un valore ottimale di pH pari a 8.[3] L'intervallo di temperatura è compreso tra i 25 °C e i 65 °C,[1] e portandosi verso i valori massimi di questo intervallo è possibile aumentare l'attività catalitica. Anche l'aggiunta di sostanze denaturanti quali il laurilsolfato di sodio, il cloruro di guanidinio, il tiocianato di guanidinio e l'urea, è in grado di incrementare l'attività catalitica rendendo maggiormente accessibili i siti del substrato.[4] Di contro temperature superiori a 65 °C e composti quale l'acido tricloroacetico, oltre ad altri inibitori delle serin proteasi, possiedono un effetto inibente. La proteinasi K non è invece inibita da composti quali il cloruro di guanidinio, il tiocianato di guanidinio, l'urea, il Triton X-100, il laurilsolfato di sodio (SDS), il citrato, l'acido iodoacetico e l'EDTA.

La proteinasi K viene comunemente utilizzata in biologia molecolare per purificare i preparati degli acidi nucleici digerendo le proteine contaminanti. La sua aggiunta, inoltre, inattiva le nucleasi (DNasi ed RNasi) che potrebbero degradare il DNA o l'RNA durante la loro purificazione. L'enzima si presta particolarmente bene a questa applicazione grazie alla sua resistenza verso una serie di composti chimici usati per degradare le proteine e verso altri agenti utilizzati nel processo di purificazione e isolamento degli acidi nucleici a partire dal lisato cellulare.

  1. ^ a b W. Ebeling, N. Hennrich, M. Klockow, H. Metz, H.D. Orth e H. Lang, Proteinase K from Tritirachium album Limber, in Eur. J. Biochem., vol. 47, n. 1, 1974, pp. 91-97, DOI:10.1111/j.1432-1033.1974.tb03671.x.
  2. ^ A. Müller, W. Hinrichs, W.M. Wolf e W. Saenger, Crystal structure of calcium-free proteinase K at 1.5-A resolution, in J. Biol. Chem., vol. 269, n. 37, 1994, pp. 23108-11, PMID 8083213.
  3. ^ Robert E. Farrell, Jr., RNA Methodologies: A Laboratory Guide for Isolation and Characterization, Academic Press, 2010, p. 62, ISBN 0080454763.
  4. ^ Helmuth Hilz, Ulrich Wiegers e Peter Adamietz, Stimulation of Proteinase K Action by Denaturing Agents: Application to the Isolation of Nucleic Acids and the Degradation of ‘Masked’ Proteins, in European Journal of Biochemistry, vol. 56, n. 1, 1975, pp. 103-8, DOI:10.1111/j.1432-1033.1975.tb02211.x, PMID 1236799.