Rosarium philosophorum | |
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Titolo originale | Rosarium philosophorum sive pretiosissimum donum Dei |
Altri titoli | Rosario dei filosofi |
Autore | Arnaldo da Villanova |
1ª ed. originale | XIII secolo |
Genere | Filosofia |
Lingua originale | latino |
Il Rosarium philosophorum (cioè Rosario dei filosofi, conosciuto anche come Pretiosissimum Donum Dei) è un testo alchemico del XIII secolo, tradizionalmente attribuito ad Arnaldo da Villanova (1235-1315), famoso medico e alchimista dei suoi tempi. L'autore potrebbe essere tuttavia un anonimo della fine del XIV secolo.[1][2]
La prima pubblicazione a stampa del Rosarium sembra essere una miscellanea pubblicata a Francoforte sul Meno nel 1550, intitolata Alchemia Opuscula complura veterum philosophorum..., di cui esso costituiva la seconda parte.
Il titolo Rosarium non deve far pensare a un'orazione, ma alla simbologia della rosa, che dall'antichità e per tutto il Medioevo rimase, fra l'altro, associata all'idea della perfezione e dell'infinito.
L'opera contiene fra l'altro 20 illustrazioni che rappresentano i momenti fondamentali dell'opus, il procedimento alchemico che porta alla creazione della pietra filosofale.
Le immagini (che appaiono piuttosto databili al periodo della stampa, che non a quello della scrittura) sono raggruppabili tematicamente come segue:
La complessità simbolica e metaforica che lo caratterizzano rendono il Rosarium, oggi, oscuro e di difficile comprensione, essendosi perduti nel tempo la maggior parte dei codici linguistici che vi si utilizzano.
E tuttavia, alla fine di un secolo (il XIX) che, senza altri ausili tecnici che non fossero l'intelligenza e la memoria, aveva espresso un formidabile pensiero filologico, sulla base del quale aveva riletto i testi medioevali e interpretato le culture che ad essi erano sottese, ecco riemergere il Rosarium all'inizio del XX secolo, nell'ambito della ricerca sul pensiero simbolico e mistico aperta dallo studioso viennese Herbert Silberer, dove per la prima volta (siamo nel 1914) si ipotizzavano legami tra l'alchimia e la psicologia dell'inconscio.
È per queste vie che esso arriva a Jung, che era fra l'altro dotato di una profondissima erudizione, e attentissimo a fondare le proprie ipotesi psicologiche su tracce linguistiche, storiche e, appunto, filologiche.
Sulla base di tali ricerche egli si convince che l'alchimia è stata, oltre che una sistematizzazione delle conoscenze chimiche dell'epoca, anche la rappresentazione simbolica e la proiezione, attraverso le manipolazioni e le trasformazioni di elementi materiali, di processi psichici inconsci, e dello sforzo di raggiungere, con quei procedimenti faticosi, rischiosi e profondamente trasformativi, il superamento delle opposizioni psichiche interiori e la liberazione da queste.
Di questo retroscena misterico pare pienamente consapevole il medioevale autore del Rosarium, quando scrive appunto:
«Aurum nostrum non est aurum vulgi.»
«Il nostro oro non è l'oro del volgo.»
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