Saida Menebhi (in arabo سعيدة المنبهي?; Marrakech, settembre 1952 – Casablanca, 11 dicembre 1977) è stata un'attivista, sindacalista e poetessa marocchina.
Nata a Marrakech, dopo aver conseguito il baccalauréat, si iscrisse all'Università di Rabat dove studiò letteratura inglese. Militò nell'ambito del sindacalismo studentesco, in ambienti vicini alla Via Democratica, unendosi successivamente al movimento marxista-leninista Ila al-Amam. Dopo aver terminato gli studi, insegnò lingua inglese a Rabat.
Con l'intensificarsi della repressione e degli arresti in Marocco nell'ambito degli anni di piombo, Menebhi venne arrestata a Rabat il 16 gennaio 1976, insieme ad altre tre compagne e venne torturata nel centro di detenzione Derb Moulay Cherif di Casablanca.[1][2][3] Venne processata insieme ad altre 138 persone accusate di minare la sicurezza dello Stato. Durante il processo, affermò il suo sostegno all'autodeterminazione del popolo sahrawi e denunciò l'oppressione delle donne marocchine. Venne condannata a cinque anni di carcere, più due per oltraggio al magistrato. Venne detenuta a Casablanca, dove venne posta in isolamento. Mentre gli altri attivisti condannati durante il processo vennero trasferiti a Kenitra, Menebhi e altri tre dei suoi compagni, Abraham Serfaty, Rabea Ftouh e Fatima Oukacha, rimasero a Casablanca.[1][2][4]
In seguito ad uno sciopero della fame di 34 giorni, morì in ospedale l'11 dicembre 1977, all'età di 25 anni.[5]
Nel corso della sua vita, in particolare nel corso della sua detenzione, scrisse numerose poesie per denunciare la repressione politica in Marocco.[6]
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