Lo sgabello d'oro (in lingua ashanti-twi sika dwa kofi)[1] è un oggetto sacro del popolo Akan, in particolare della tribù degli Ashanti.
Risalente al tardo XVII o primo XVIII secolo, secondo la leggenda lo sgabello d'oro apparve per volontà divina e fu consegnato a Osei Tutu I, fondatore dell'Impero ashanti, e divenne presto un simbolo nazionale. Nel 1900 i britannici, per tentare di abbattere l'Impero ashanti e sottomettere l'intero popolo, cercarono di requisire l'oggetto sacro, facendo scoppiare la guerra dello sgabello d'oro. Il conflitto risultò in una sconfitta africana e nella scomparsa dello sgabello, nascosto dietro ordine della regina Yaa Asantewaa. Lo sgabello fu rinvenuto per caso solo vent'anni più tardi, e dal 1935 è di proprietà del sovrano ashanti.
Adoperato nelle cerimonie più importanti, il re può adoperare lo sgabello d'oro solo in determinati modi e occasioni, e mai per sedercisi.[1] L'artefatto è diventato oggetto di venerazione per tutti gli akan, e di conseguenza ha portato ogni sgabello ad acquisire valenza mistico-religiosa.
Secondo la leggenda, lo sgabello d'oro risalirebbe al tardo XVII o al primo XVIII secolo, e sarebbe comparso durante una riunione tenuta tra i più importanti capi del popolo Ashanti. Secondo il racconto, all'improvviso dal cielo sarebbe disceso uno sgabello dorato, che si sarebbe poggiato sulle ginocchia o ai piedi di Osei Tutu I, re di Kumasi[1][2][3] (altre versioni riportano invece che fu il gran sacerdote Okomfo Anokye a consegnare l'oggetto a Osei Tutu).[4][5] Tale prodigio fu interpretato dagli astanti come la volontà del dio Nyame che Osei Tutu governasse su tutti gli Ashanti, e gli altri capitribù gli si sottomisero permettendo la fondazione dell'Impero ashanti, esteso sugli odierni Ghana, Togo e Costa d'Avorio. Ciò che è certo è che entro l'inizio del XIX secolo lo sgabello d'oro era uno dei simboli dell'autorità regale ashanti,[6] tanto da comparire anche nelle insegne imperiali, come anche dell'intero popolo, ed era diffusa la credenza che le fortune dell'impero dipendessero dalla presenza e dalla cura riservata allo sgabello d'oro.[3]
Proprio il possesso dell'oggetto sacro fu all'origine della guerra dello sgabello d'oro, ovvero il tentativo da parte del Regno Unito di sottomettere l'Impero ashanti impossessandosi del suo simbolo più prezioso.[2] Nel 1900 il governatore del Ghana sir Frederick Hodgson pretese la consegna dello sgabello d'oro, cosa che la regina Yaa Asantewaa rifiutò categoricamente, dando inizio alle ostilità.[3] Nonostante la sconfitta finale degli Ashanti, Yaa Asantewaa riuscì a far nascondere lo sgabello d'oro, che quindi scomparve tra il 1900 e il 1920.[2][3][5]
Lo sgabello fu rinvenuto casualmente tra il 1920 e il 1921 da alcuni operai che stavano costruendo una strada, i quali rubarono parte dei suoi ornamenti.[4] Catturati dagli Ashanti, essi vennero condannati a morte, ma per proteggerli le autorità inglesi disposero piuttosto la loro espulsione dal Ghana.[5] A causa della profanazione operata dai suoi scopritori, per un periodo la sacralità dello sgabello d'oro venne ritenuta compromessa;[4] gli inglesi, a causa di ciò e del fatto che ormai controllavano saldamente il Ghana, non erano più interessati a entrarne in possesso, e nel 1935 permisero agli Ashanti di riacquisirne ufficialmente la proprietà.[2][4]
Nonostante il suo nome, lo sgabello d'oro è in realtà costituito di legno e solamente ricoperto da una sottile lamina d'oro.[2] L'oggetto è alto 45 cm, lungo 60 e largo 30.[1]
Di solito unicamente il re degli Ashanti e pochi collaboratori fidati sanno dove si trova lo sgabello d'oro, che viene costantemente sorvegliato ed è utilizzato pubblicamente solo per le cerimonie politico-religiose più importanti.[5]
Nonostante sia di proprietà esclusiva del re e simbolo del suo potere, la sua valenza religiosa non permette nemmeno al sovrano di sedervisi sopra, in quanto lo sgabello d'oro è considerato l'incarnazione dello spirito dell'intero popolo Ashanti (Sunsum o Sunsumà).[1][2][4] Lo sgabello è talmente importante che non può nemmeno essere appoggiato direttamente a terra, ma solo adagiato su un lenzuolo,[5] e di solito, durante le cerimonie pubbliche, esso è assiso in un trono apposito accanto al sovrano.[1] Attualmente è utilizzato principalmente nelle cerimonie di incoronazione dei sovrani degli Ashanti,[1] dove il nuovo re viene sollevato e abbassato sopra lo sgabello d'oro per simboleggiare la sua seduta su di esso, senza che gli venga fatto realmente toccare.[5]
Anche molti sovrani minori degli Akan hanno creato delle repliche dello sgabello d'oro per legittimare la propria autorità.[5] Tradizionalmente alla loro morte, per simboleggiarne la dipartita, i loro sgabelli sono anneriti tramite colorazione con sangue animale, e vengono utilizzati nelle successive cerimonie religiose.[5][6] A causa della devozione degli Ashanti verso lo sgabello d'oro e gli altri oggetti simili, molte religioni monoteiste li considerano pagani e idolatri, in particolare l'Islam, che è quindi in buona parte rigettato dagli Ashanti.[2]
L'importanza dello sgabello d'oro ha conferito a tutti gli sgabelli prodotti dall'artigianato akan uno status di oggetto sacro.[7] Il possesso di uno sgabello è quindi simbolo di prestigio e autorità, e ogni persona ne possiede uno personale, che viene associato alla sua stessa anima.[6][7] Solitamente l'artefatto è riconoscibile perché molto più elaborato di un normale sgabello, soprattutto per il sedile curvo sostenuto da cariatidi a forma di animali o intricati motivi geometrici.[6]
Tradizionalmente i genitori regalano ai propri bambini uno sgabello quando cominciano a muoversi in autonomia, e al raggiungimento della pubertà le ragazze compiono particolari riti che prevedono molteplici sedute sul proprio sgabello.[7] Durante il matrimonio invece sono i mariti a presentare il proprio sgabello alle mogli.[7]
La sacralità dello sgabello si accresce alla morte del suo possessore: prima della sepoltura gli anziani lavano il corpo del defunto mentre è seduto su uno sgabello cerimoniale,[7] mentre dopo la sepoltura lo sgabello personale del defunto è conservato con cura e utilizzato dai parenti sopravvissuti come altare per il culto degli antenati.[6] È infatti diffusa la credenza che l'anima del defunto si incarni nel suo sgabello, e molti di essi presentano cariatidi cave dove possono essere riposte reliquie del suo proprietario come denti, capelli o piccoli oggetti.[6] Tradizionalmente agli sgabelli sacri si sacrifica ogni sei settimane oppure in particolari occasioni come funerali o la festa annuale dell'Adae, offrendo in genere piccole quantità di cibo e alcol oppure animali.[6]