La strategia si basava sull'imposizione di forti dazi per finanziare la costruzione di infrastrutture, lo sviluppo di una Banca centrale che incoraggiasse l'impresa e il rafforzamento della valuta interna. I dazi avrebbero inoltre permesso agli USA di contrastare efficacemente le azioni di dumping poste in essere soprattutto dall'Impero britannico.
La proposta viene formalizzata per la prima volta nel 1816 ed è subito approvata dal Congresso a larghissima maggioranza.
I principali sostenitori erano il Presidente della Camera dei RappresentantiHenry Clay e il deputato della Carolina del SudJohn C. Calhoun. Questi pose particolarmente la sua attenzione sulla costruzione di un sistema di trasporti efficiente e sulla creazione di un'industria manifatturiera di base, ponendo i due obbiettivi come una questione di interesse nazionale.
Il maggiore supporto provenne dagli Stati di New York e Pennsylvania, entrambe intenzionate a diventare "Stati-chiave" ed interessate ad una rapida industrializzazione. Il principale avversario dell'ipotesi fu invece John Randolph, deputato della Virginia di estrazione aristocratica e fortemente convinto dell'incostituzionalità di tale programma.[1]
Ma il provvedimento era condiviso anche da larghe fasce della popolazione, pervase all'epoca da un forte sentimento nazionalista e consapevoli della necessità di un rafforzamento della struttura economica. La proposta prevedeva:
la creazione di una Banca centrale, che avrebbe promosso la diffusione di un'unica valuta e la possibilità per il Governo Federale di emettere titoli di debito;
il miglioramento delle infrastrutture ed in special modo delle reti di trasporto.
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