Timoteo Viti (Urbino, 1470 – Urbino, 10 ottobre 1523) è stato un pittore italiano.
Il padre, Bartolomeo di Piero Viti, morì nel 1476, quindi la tutela del piccolo Timoteo venne affidata allo zio don Giovanni Paolo e alla madre Calliope Alberti, che si occupò dell'educazione del figlio, assecondando le sue inclinazioni artistiche[1].
Menzionato dal Vasari nelle sue Vite come Timoteo da Urbino, secondo la storiografia e le fonti documentarie, entrò poco più che ventenne nella bottega bolognese di Francesco Raibolini, detto il Francia.
Nella città felsinea, di recente è stata attribuita una Crocifissione affrescata nell'oratorio o refettorio del convento camaldolese di S. Cristina (ora Aula Magna del dipartimento di Arti Visive dell'Università di Bologna).[2]
Ritornato nella sua Urbino, gli furono commissionate due pale d'altare per il Duomo, raffiguranti Madonna e santi (1514, Galleria Nazionale delle Marche, Urbino; Pinacoteca di Brera, Milano).
In queste opere esprime un certo classicismo bolognese unito ad echi umbro-marchigiani. Qualche anno prima aveva realizzato uno dei suoi maggiori capolavori per l'altar maggiore dell'Oratorio di Sant'Angelo Minore della città di Cagli: la grande tavola del "Noli me tangere" dove forti sono i rimandi all'opera di Raffaello.
In seguito cercò di adeguarsi alle novità del Perugino e di Raffaello senza però riuscirvi appieno (dipinti per il Tempietto delle Muse nel Palazzo Ducale, oggi nella Galleria Corsini di Firenze; Apparizione di Cristo alla Maddalena, 1512, Cagli, Sant'Angelo). Di Raffaello fu amico e aiuto a Roma negli affreschi in Santa Maria della Pace.
Nel 1518, giunse a Forlì, con Girolamo Genga, per affrescare la Chiesa di San Francesco Grande, oggi scomparsa. Fu in questa occasione che iniziò a lavorare con loro Francesco Menzocchi.
Secondo gli atti della Compagnia di San Giuseppe di Urbino, di cui era recentemente stato costruito l'oratorio, Timoteo morì il 10 ottobre 1523[3].
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