Nato a Milano il 20 dicembre 1648 da Carlo Francesco e Paola de Colombi, famiglia benestante milanese, Tommaso Ceva entrò nella Compagnia di Gesù il 6 aprile 1663. Dopo la permanenza a Genova e al Collegio di Nizza per la formazione religiosa, pronunciò i voti solenni a Milano l'8 dicembre 1682.
Fratello del più celebre Giovanni, con il quale ebbe un sodalizio scientifico durato tutta la vita, dal 1670 al 1688 Ceva fu professore di retorica e lettore di matematica presso il collegio di Brera a Milano. Dall'anno scolastico 1688/89 si dedicò in toto alla matematica. Il suo allievo più famoso fu Giovanni Girolamo Saccheri, considerato il "padre" della geometria non euclidea.[1]
Il Ceva è un esponente di rilievo nel panorama letterario del tempo, in proficuo contatto con diversi ambienti culturali (l’accademia dei Vigilanti, il cenacolo toscano dei discepoli di Galilei, l’Arcadia romana alla quale fu associato dal 1718 con il nome di Callimaco Neridio).[2]
Ceva tenne una fitta corrispondenza con molti scienziati del suo tempo, come Vincenzo Viviani e soprattutto Luigi Guido Grandi.[3] La gran parte della vasta corrispondenza tra quest'ultimo e il gesuita è inedita: essa mette in luce la vastità di un dissenso tanto cortesemente argomentato quanto scientificamente e culturalmente profondo, ma mostra anche come Ceva facesse da tramite fra Grandi e Saccheri e come nel dialogo fra il professore pisano e il milanese intervenissero riferimenti, oltre che a Galilei e ai suoi allievi, a Gassendi, Descartes, Fermat, Pascal, Roberval, Hobbes, Huygens, de l'Hôpital, Leibniz e, almeno dal 1708, ai Principia di Newton.[4]
Una Vita del Padre Tomaso Ceva milanese della Compagnia di Gesù, ricca di informazioni interessanti, è stata scritta dal confratello Giulio Cesare Cordara.[5]
La prima opera data alle stampe dal Ceva uscì nel 1680, in occasione della morte di Manfredo Settala. A Brera si tenne un'accademia funebre, recitata dagli studenti di Retorica: Manfredo Septalio Academia funebris publice habita in Classe Rhetoricae Collegii Braydensis Societatis Iesu, Mediolani, apud Impressores Archiepisc., MDCLXXX. Del Ceva è la prolusione in prosa e in versi, e suoi sono i testi in prosa con cui introduce e spiega l'apparato funebre, realizzato esclusivamente con oggetti tratti dal Museo del Settala.
In ambito matematico Ceva si occupò di aritmetica, geometria e gravità, pubblicando gli Opuscola mathematica (1699), ed elaborò uno strumento per dividere l'angolo retto in un dato numero di parti uguali tra loro. Nel 1707 il metodo del Ceva per la polisezione dell'angolo venne pubblicato in Francia da Guillaume de l'Hôpital senza fare alcuna menzione dell'inventore italiano.[3]
Galieiano convinto («mi sono consigliato – scrive all'amico Guido Grandi il 14 luglio 1700 – col mio padre spirituale in matematica, che è il Galileo, uomo sodo, che ha penetrato le cose in fondo»[6]), nel suo trattato De natura gravium (Milano, 1669) Ceva fu il primo ad introdurre la teoria gravitazionalenewtoniana in Italia e diede un importante contributo alla sua diffusione.
Ceva fu in contatto con i più importanti intellettuali italiani contemporanei. La maggior parte delle sue lettere è indirizzata al Grandi con il quale discusse il problema delle curve di ordine superiore.[7] Ceva ebbe stretti rapporti di amicizia col matematico Pietro Paolo Caravaggio[8] e con lo storico Ludovico Antonio Muratori. Un'altra figura importante nella sua vita fu Clelia Grillo Borromeo, fondatrice dell'Accademia di Scienze Naturali di Milano (Accademia dei Vigilanti), frequentata sia da Ceva che da Saccheri.
La maggiore opera letteraria del gesuita è il poema epico-religioso latino Jeus puer (1690), composto sulla scia di illustri e analoghi modelli umanistici e rinascimentali (il De partu Virginis del Sannazaro, la Christias di Marco Girolamo Vida). Il poema fu accolto subito con entusiasmo da Francesco Redi e lodato dal Muratori nella Perfetta poesia italiana.
Interessante anche il poema filosofico Philosophia novo-antiqua, apparso per la prima volta nel 1704, ripubblicato a Vienna nel 1719, a Firenze nel 1723, dove fu al centro di una polemica cui partecipò Guido Grandi,[9] ancora a Venezia nel 1732 e ripetutamente recensito o segnalato sul Giornale de' letterati d'Italia.[10]
Ceva scrisse anche le Memorie d'alcune virtù del signor conte Francesco de Lemene (1706), dove, esponendo le proprie idee su argomenti letterari, si presenta come convinto seguace della linea arcade lombarda Guidi-De Lemene-Maggi, in accordo con i nuovi criteri di grazia e moderazione di un petrarchismo che, sulla scorta di distintivi capisaldi teorici della fine del XVIl e dell'inizio del XVIII secolo (Ettorri, Muratori), mirava a conciliare decoro e verosimiglianza con l'inserimento di richiami gnomici ed eticizzanti in funzione anti-barocca e neo-aristotelica.[11]
La raccolta completa delle opere poetiche di Ceva, molte delle quali di contenuto filosofico, fu edita col titolo di Philosophia novo-antiqua, quae nunc primum prodit; Jesus puer, Poema, editio quarta; Sylvae, altera editio auctior, Mediolani, 1704, sumptibus Dominici Bellagattae, edizione cui fu connessa anche la sua fama internazionale.[12]
^ Giulio Cesare Cordara, Vita del Padre Tomaso Ceva Milanese della Compagnia di Gesù, detto Callimaco Neridio, in Vite degli arcadi illustri, V, Roma, 1751, pp. 131-152.
^Lettera riportata in Alessandro Paoli, La scuola di Galileo, in Annali delle Università Toscane, XXIX, pp. 89.
^La maggior parte di questa corrispondenza - compresa nell'enorme epistolario di Grandi - è conservata nel dipartimento dei manoscritti della Biblioteca dell'Università di Pisa, segnatura: Ms. 88-89. Essa è composta da circa trecento lettere di Ceva a Grandi e da circa duecento lettere di Grandi a Ceva, scritte tra il 1699 e il 1737. Una pubblicazione parziale ne fece A. Paoli: La scuola di Galileo nella storia della filosofia, «Annali delle Università Toscane» (AUT). XXVIII. 1908, pp. 1-43. XXIX, 1909. pp. 45-102. Nella sezione manoscritti della Biblioteca Nazionale Braidense (BNB) di Milano, si trovano otto lettere autografe di Grandi a Ceva (1700, 1704 o più probabilmente 1708, 1709, 1723, 1725) sotto la segnatura AF.XIII. 13. n. 7 (copie più leggibili delle stesse lettere sono reperibili alla segnatura Busta VIII n. 5).
^Sui rapporti tra il Ceva e il Caravaggio si veda A. Fabroni, Vitae Italorum Doctrina Excellentium qui Saeculi XVII, et XVIII floruerunt, vol. XVIII, Pisis, 1799. Apud Petrum Jacomellium, pp. 209-211.
^Quando la Philosophia apparve nel '23 a Firenze con una velenosa prefazione contro i moderni, che venne subito giudicata un attacco diretto contro i professori dell'Università di Pisa, fu data alle stampe una replica assai dura, la Diacrisis in secundam editionem Philosophiae Nov-antiquae (1724), in forma anch'essa poetica: ne era autore un Q. Lucius Alpheus, cui si affiancava un Janus Valerius Pansius per le ampie note di commento. La paternità dell'operetta è dubbia, anche se alcuni la hanno attribuita a Guido Grandi. Gabriel Maugain e Eugenio Garin si sono soffermati su questa vicenda, giovandosi anche delle notizie che sui retroscena diede, in una lettera del 1749, Giovanni Lami.
^L'opera di Ceva fu recensita in Actorum eruditorum quae Lipsiae publicantur. Supplementa, t. III, pp. 423-425. Alle pp. 368-376 dello stesso tomo si legge la recensione degli Opuscola mathematica. Non del tutto favorevole, ma comunque sintomatica di una raggiunta notorietà sulla ribalta culturale europea, è la recensione del francese Journal de Trévoux, dic. 1706, pp. 2065-2070.
Filippo Argelati, Bibliotheca scriptorum mediolanesium, vol. 1, Milan, in Aedibus Palatinis, 1745, pp. 417–20.
Pietro Riccardi, Biblioteca matematica italiana, vol. 1, Modena, tipografia dell'erede Soliani, 1870, pp. 343–4.
Carlos Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, vol. 2, Brusels, 1891, pp. 1015–24.
Alberto Pascal, L'apparecchio polisettore di Tommaso Ceva e una lettera inedita di Guido Grandi, «Rendiconti dell'Istituto Lombardo di Scienze e Lettere», s. II, 48 (1915), pp. 173-181.
Raffaello Ramat, "La critica del padre Ceva," Civiltà moderna, 10 (1938), 385-95, and 11 (1939), 139-66. (riedito in Sette contributi agli studi di storia della letteratura italiana, (Florence, 1947), pp. 5-44.
Luigi Tenca, La corrispondenza epistolare fra Tommaso Ceva e Guido Grandi, in Rendiconti dell'Istituto lombardo di scienze e lettere, classe di scienze matematiche e naturali, LXXXIV (1951), pp. 519-537.
Vitilio Masiello, Critica e gusto di Tommaso Ceva, in Convivium, XXVII, n. 4, 1959, pp. 288-313.
Vitilio Masiello, Le idee estetiche di Tommaso Ceva, in Convivium, XXVIII, n. 3, 1960, pp. 298-317.
Elisabetta Ulivi, Un tardo seguace di Viète, Pietro Paolo Caravaggio senior, in Bollettino Di Storia Delle Scienze Matematiche, IX, n. 1, 1989, pp. 91-137, ISSN 0392-4432 (WC · ACNP).
Guido Canziani, Descartes e Gassendi nella Philosophia Novo-antiqua di Tommaso Ceva, in Per una storia critica della scienza, Bologna, Cisalpino, 1997, pp. 139-64, ISBN8820507927.
Marco Leone, Milano chiama Napoli: Tommaso Ceva, Nicola Giannettasio e il latino gesuitico tra sei e settecento, in Geminae voces: poesia in latino tra barocco e Arcadia, Milano, Congedo Editore, 2007, pp. 71-94, ISBN9788880867319.
Yasmin Haskell, Sleeping with the Enemy: Tommaso Ceva's Use and Abuse of Lucretius in the Philosophia novo-antiqua (Milan, 1704), in What Nature Does Not Teach: Didactic Literature in the Medieval and Early-Modern Periods, Turnhout, Brepols, 2008, pp. 497-520.
Emanuele Colombo, Milano Bilingue. Il Gesuita Tommaso Ceva (1648-1737), in La cultura della rappresentazione nella Milano del Settecento. Discontinuità e permanenze. Atti delle giornate di studio 26-28 novembre 2009, vol. 2, Milano, Bulzoni, 2010, pp. 77-97.