Totò, Peppino e la... malafemmina è un film del 1956, diretto da Camillo Mastrocinque.
Antonio Capone e suo fratello Peppino vivono in campagna in provincia di Napoli, sono proprietari terrieri e di cultura contadina: Antonio è il primogenito, donnaiolo e spendaccione spesso a danno del più giovane, il sottomesso e avaro Peppino. Entrambi sono alle prese con il ben più ricco confinante Mezzacapa, ai danni del quale combinano puntualmente qualche scherzo pesante, come rompere i vetri delle sue finestre di casa con un sasso.
Gianni, il figlio della loro sorella vedova Lucia, nel corso dei suoi studi di medicina a Napoli si innamora, dopo un rocambolesco incontro, di Marisa, prima ballerina di una Compagnia di avanspettacolo. Giulietta, la giovane figlia del padrone di casa dove Gianni viene ospitato quando per studio si trova a Napoli e dove Marisa e Gianni si incontrano la prima volta è segretamente infatuata di lui e per ripicca spedisce una lettera alla madre Lucia, informandola che il figlio trascura gli studi per colpa di una sconosciuta donna. Per amore, Gianni decide di seguire Marisa a Milano, dove la sua Compagnia deve esibirsi e questo all'insaputa del resto della famiglia.
I tre fratelli, temendo ragionevolmente che Marisa sia fonte di scandalo e cattiva reputazione e che possa distogliere Gianni dagli studi, decidono di raggiungere il giovane a Milano. Consultano quindi l'odiato Mezzacapa sull'ambiente milanese, poiché in giovinezza il vicino aveva svolto il servizio militare proprio a Milano. Raggiunta quindi la metropoli lombarda, si mettono sulle tracce di Gianni per persuaderlo a tornare a Napoli e cercando anche di convincere Marisa a lasciarlo, scrivendo alla ragazza una lettera accompagnata in una scatola contenente tutti i risparmi. Alla fine, però, è proprio Lucia ad accorgersi della bontà dei sentimenti dei due giovani – e dell'onestà di Marisa – i quali alla fine hanno la meglio e convolano a nozze.
Secondo la testimonianza di Teddy Reno, in seguito confermata in parte anche da Ettore Scola (che lavorava in qualità di aiuto regista) la nota scena della lettera fu semi improvvisata. In origine non era riportata nel copione che non convinceva del tutto i due attori, i quali, durante le riprese, stravolgevano spesso e volentieri le scene da girare. Nella versione definitiva, inoltre, si nota che Peppino scrive la seconda metà della lettera sull'ultima riga sovrascrivendola più volte, probabilmente non prevedendo un testo così lungo.[1] Scola aggiunse che lui, autore di rilievo di alcune gag, lavorando nel cast tecnico del film, propose la scena.[2]
Nel film, Teddy Reno interpreta il brano del 1951 di Totò, Malafemmena.
Il film è stato distribuito in Italia da Cineriz.[3]
Il film riscosse un grande successo di pubblico, raggiungendo i 4 milioni e mezzo di spettatori e incassò quasi 680 milioni di lire.[4]
Il film, alla sua uscita, ebbe delle solenni stroncature, come nel caso dell'Avanti!:
«Una farsa grossolana urlata in dialetto napoletano dalla prima all'ultima scena [...]. È avanspettacolo e fumetto della peggior qualità, né la presenza di bravi attori come Totò e Peppino De Filippo si fa avvertire, almeno sul piano della buona recitazione.»
Con il passare del tempo è divenuto tuttavia un classico della comicità, rivalutato dalla critica:
«La canzone omonima è una delle più belle di Totò, anche qui tenuto a freno dalla censura democristiana. La scena della dettatura della lettera è da antologia. La sintonia di Totò e Peppino è qui perfetta.»
«Un vero e proprio cult movie a tratti persino surreale e infarcito di gag che hanno fatto storia: la scrittura della lettera, l'arrivo a Milano vestiti da cosacchi, il colloquio col vigile. Ispirato alla canzone del Principe Malafemmina, il film era stato progettato come un vehicle per Teddy Reno, ma la parte di Totò e De Filppo fu man mano sempre più gonfiata.»