Vitaliano Brancati (Pachino, 24 luglio 1907 – Torino, 25 settembre 1954) è stato uno scrittore, sceneggiatore, drammaturgo, giornalista e docente italiano.
Nato a Pachino, in provincia di Siracusa, il 24 luglio 1907 in una famiglia di cultura letteraria - sia il nonno sia il padre erano stati autori di novelle e di poesie - compì gli studi inferiori a Modica, dove visse dal 1910 al 1919, e quelli superiori a Catania, ove si trasferì con la famiglia nel 1920. Nella città etnea frequentò la Facoltà di Lettere presso la locale università, laureandosi nel 1929 con una tesi su Federico De Roberto; anni dopo insegnò brevemente a Caltanissetta, nell'Istituto Magistrale. Nel periodo catanese della sua formazione, Brancati fondò la rivista Ebe, pubblicandovi poesie, di tono crepuscolare; e collaborò con assiduità a Il Giornale dell'Isola.
Dal principio degli anni 1930 si trasferì a Roma, ove, oltre a insegnare, iniziò l'attività di giornalista, dapprima per il quotidiano Il Tevere e per Critica fascista; in seguito, per il settimanale letterario Quadrivio, del quale divenne redattore capo per breve periodo, tra il 1933 e il 1934. La sua formazione giovanile era stata a lungo segnata da un approccio esistenziale irrazionalista, che entrò in crisi quando a Roma iniziò a frequentare intellettuali crociani ed artisti "di fronda" al fascismo (come Leo Longanesi).
La sua attività letteraria iniziò con opere "di regime", animate da intenti propagandistici di stampo fascista: non tanto il dramma Fedor (1928), elaborato in una prosa con accenti lirici affini ai toni del Crepuscolarismo, ma i drammi Everest (del 1931) e Piave (del 1932) e, soprattutto, il romanzo L'amico del vincitore. Nel 1934 pubblicò il romanzo Singolare avventura di viaggio, ove appaiono per la prima volta, nello svolgersi di un rapporto sentimentale tra cugini, temi legati all'erotismo. Quest'opera, ritenuta oscena e sottoposta dall'autoritario regime politico a censura, fu ritirata con rapidità dal commercio, innescando in Brancati una profonda crisi di ripensamento dei propri valori la quale lo avviò, nel giro di qualche tempo, al superamento dell'ideologia fascista.
Stabilito contatto con Corrado Alvaro, Alberto Moravia, Leo Longanesi e altri giovani e brillanti scrittori di quel periodo, proprio nel 1934 Brancati maturò la sua crisi esistenziale e politica, distaccandosi dalla posizione di intellettuale organico al regime, col disconoscimento di tutti i propri anteriori scritti. Di ritorno a Catania, si dedicò all'insegnamento e al contempo collaborò al settimanale Omnibus di Leo Longanesi fino al 1939, quando la rivista fu soppressa dal regime fascista. Nel 1943 le sue corrispondenze per Omnibus furono raccolte nel volume I piaceri.
Si dedicò all'insegnamento fino al 1941, anno in cui tornò a Roma e pubblicò Gli anni perduti, da lui considerato il suo primo romanzo genuino, a carattere comico-simbolico, ispirato a Gogol' e a Cechov, ove si avverte netto il distacco dall'ideologia fascista, le cui illusorie mitologie ormai suscitano a Brancati solo ilarità. Seguirono i romanzi di maggior successo come Don Giovanni in Sicilia, pubblicato nel 1941, il racconto tragicomico di un'impotenza sessuale Il bell'Antonio nel 1949 e il romanzo rimasto incompiuto e pubblicato postumo (1955), Paolo il caldo, storia di un'ossessione erotica alla quale si intreccia una lucida analisi del costume politico e culturale del dopoguerra.
Nel 1942 conobbe, al teatro dell'Università, l'attrice Anna Proclemer con la quale iniziò una relazione; si sposarono nel 1947. La coppia ebbe una figlia, Antonia (nata nel 1947).
«Brancati è lo scrittore italiano che meglio ha rappresentato le due commedie italiane, del fascismo e dell'erotismo in rapporto tra loro e come a specchio di un paese in cui il rispetto della vita privata e delle idee di ciascuno e di tutti, il senso della libertà individuale, sono assolutamente ignoti. Il fascismo e l'erotismo però sono anche, nel nostro paese, tragedia: ma Brancati ne registrava le manifestazioni comiche e coinvolgeva nel comico anche le situazioni tragiche»
Nel 1951 Brancati scrisse la sceneggiatura dei film Signori, in carrozza! e L'arte di arrangiarsi, diretti da Luigi Zampa, nel 1952 di Altri tempi, con la regia di Alessandro Blasetti, nel 1951 di Guardie e ladri di Mario Monicelli, nel 1954 di Dov'è la libertà...? e Viaggio in Italia, con la regia di Roberto Rossellini.
Da alcune sue opere narrative furono tratti film. Il primo fu Anni difficili (1947) di Luigi Zampa, tratto dalla novella Il vecchio con gli stivali (1945) e per il quale lo stesso Brancati collaborò alla sceneggiatura. Il film diede inizio a un filone di satira politica che furono inizialmente osteggiate dalla censura. Nel 1960 dall'omonimo romanzo fu tratto il film Il bell'Antonio del regista Mauro Bolognini, con Marcello Mastroianni e Claudia Cardinale e nel 1973 Paolo il caldo, diretto da Marco Vicario e interpretato da Giancarlo Giannini e Ornella Muti.
Nel 1952 la censura vietò la rappresentazione di un dramma di Brancati, La governante, che tratta di un'omosessualità femminile. Nello stesso anno lo scrittore, prendendo spunto dal divieto di rappresentare il suo lavoro teatrale, scrisse un pamphlet dal titolo Ritorno alla censura nel quale sostenne i diritti del teatro ad esprimersi e dove ripropose la sua poetica del comico ispirata a un forte realismo classico.
In questo periodo collaborò con L'Europeo di Arrigo Benedetti e con Il Tempo di Renato Angiolillo. Partecipa a un congresso per la libertà a Parigi e manifesta la sua avversità nei confronti di ogni dittatura, sia di destra sia di sinistra.[1]
Separatosi dalla moglie nel 1953, Vitaliano Brancati morì il 25 settembre 1954,[2] in seguito all'operazione eseguita a Torino da un chirurgo di chiara fama, il professor Achille Mario Dogliotti.[3] L'operazione aveva lo scopo di asportare una cisti dermoide a carattere benigno che Brancati portava fin dalla nascita e che si era ingrossata a dismisura, ma il suo cuore non resse all'anestesia.[4]
Brancati si impose all'attenzione della critica e del pubblico nel 1941, con Don Giovanni in Sicilia, edito, per volontà di Leo Longanesi nella prestigiosa collana Il Sofà delle Muse. Don Giovanni non è altro che sensualità fantasticata, anziché vissuta, è ossessione a suo modo sentimentale e tutt'al più l'ipostasi smaniosa d'una sorta d'inibizione già pronta a trasferirsi dal piano psicologico della timidezza di Giovanni Percolla a quello fisiologico dell'impotenza del protagonista di Il Bell'Antonio; così, in un sentimentalismo di fondo camuffato di sensualità (e l'ironia e la comicità derivano proprio da tal contrasto), Brancati fissa nelle sue pagine l'umanità dei suoi Don Giovanni, senza pretendere, con ciò, di darci la storia, bensì solo la favola della sua provincia: "una mitologia del costume siciliano fuori del tempo" (Mario Pomilio).
In questo romanzo lo scrittore descrive un aspetto della vita in una grossa città siciliana - Catania - che fa da vivace sfondo alla vita di giovani benestanti sempre in cerca di avventure amorose e che trascorrono il tempo a immaginare avventure erotiche e viaggi in celebri luoghi che si concludono sempre in modo deludente. Vengono narrate avventure e sogni del protagonista Giovanni Percolla dall'infanzia fino all'età adulta, quasi sempre in compagnia degli amici Muscarà e Scannapieco.
Il terzetto è, come in una vorticosa passione, continuamente alla ricerca di piacere che solo l'abito femmineo può dare. All'intera vicenda può essere data una lettura "kierkegardiana", poiché come nel pensiero del filosofo danese, nell'opera di Brancati vi è un salto dalla "vita estetica" a quella "etica", il tutto provocato dalla disperazione. Infatti Giovanni, divenuto adulto, conosce Ninetta, donna alla quale decide di consacrare la propria esistenza spinto dalla coscienziosa consapevolezza della futilità della vita condotta fino ad allora. Sarà la vita di Milano a permettere poi a Giovanni di saltare dalla dimensione estetica a quella etica.
Si tratta a prima vista di un quadro ironico e divertente della provincia italiana dove vengono messe in evidenza le velleità maschiliste, i vagheggiamenti erotici e tutte quelle forme di megalomania che vanno sotto il nome di gallismo. In realtà l'opera va oltre la dimensione provinciale che viene assunta da Brancati come esempio della società italiana del tempo, piena di faciloneria, velleitarismo e sogni di grandezza. Brancati crea delle macchiette nascondendo una vocazione di saggista e di osservatore attento degli atteggiamenti degli uomini in un preciso contesto storico. Lo stile dell'opera è scanzonato e beffardo, la scrittura agilissima e pervasa di sana e vigorosa sensualità.
«Don Giovanni in Sicilia fu scritto nel '40, e sta a rappresentare il momento di maggiore agevolezza e libertà d'ispirazione incontrato dal Brancati». È il libro della profonda acquisizione della coscienza antifascista. Facendo intravedere nel fascismo e nel gallismo «due manifestazioni di un medesimo costume, l'autore colpisce con la sua satira e l'uno e l'altro».[5]
Gli anni che trascorsero tra il Don Giovanni e Il bell'Antonio non furono anni facili, ma Brancati, appena fu possibile, riprese a pubblicare bozzetti, racconti, composizioni teatrali, trovandosi trasportato dalla satira politica. Con Il bell'Antonio, pubblicato nel 1949, lo scrittore riprende i motivi del Don Giovanni producendo un romanzo corale: nel descrivere un ambiente cittadino effettivamente riconoscibile nella Catania di quegli anni[6], delinea un contesto che assomiglia a una grande commedia antica e che rappresenta, in fatto di "orchestrazione", un grande progresso nei confronti del Don Giovanni. Per il Bell'Antonio, Brancati riceverà, nel 1950 il Premio Bagutta.
Nel 1955, un anno dopo la morte, venne pubblicato il romanzo Paolo il caldo. La sua pubblicazione era stata autorizzata dall'autore in una nota scritta due giorni prima di morire nella quale avvertiva che il libro era rimasto incompiuto degli ultimi due capitoli. Nonostante il romanzo ci sia pervenuto non concluso, si avverte subito che esso non è inferiore ai precedenti e soprattutto che l'idea della vita, in esso espressa, è profondamente cambiata da quella che animava i romanzi precedenti.
Se nel Don Giovanni lo slancio sensuale era pieno di allegria e nel Bell'Antonio la vicenda aveva ancora una sostanziale intonazione burlesca, nel Paolo il Caldo le cose cambiano e la sensualità di Paolo Castorini ha qualcosa di ossessivo e tragico. Anche in questo romanzo la forma è limpidissima anche se si nota, al confronto con gli altri due libri, una maggiore propensione all'analisi e al discorso indiretto.
Il mondo davanti al quale ci pone Brancati è un mondo morale concreto e organico dal quale egli contempla e giudica gli uomini che lo circondano facendo così nascere la sua satira politica e quella della vita provinciale. Il mondo appare così dominato da personaggi dalla testa vuota, vanagloriosi seduttori di donne e di imperi che appartengono alla schiera dei vanitosi, prepotenti e oppressori, sia in politica che in amore.
Brancati, che si è sviluppato come scrittore nel periodo che va dal 1930 al 1942, trae questa visione del mondo dalla sua esperienza di uomo, nato e vissuto nel Ventennio fascista, in un periodo decisivo della vita italiana fatto di esaltazioni e speranze deluse. Dalla Sicilia Brancati riesce a trarre non solo la forza della concretezza artistica, ma anche a rompere con gli schemi letterari e culturali di Verga e Pirandello.
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