Berto Barbarani, pseudonimo di Tiberio Umberto Barbarani (Verona, 3 dicembre 1872 – Verona, 27 gennaio 1945), è stato un poeta italiano e un importante poeta dialettale veronese.
Nacque nel centro storico di Verona, vicino al Ponte Nuovo sul fiume Adige, da genitori non ricchi che gestivano un negozio di ferramenta. Fu avviato agli studi assieme al fratello Vittorio, il quale conseguì la laurea in medicina. Berto invece, in seguito alla morte del padre (1887), dovette lasciare il collegio per dare una mano alla madre nella gestione del negozio. Ciò non gli impedì di proseguire gli studi fino a iscriversi alla facoltà di giurisprudenza presso l'università di Padova. L'abbandonò dopo i primi esami, pur continuando a collaborare a un giornale studentesco con le sue prime poesie (1892), che furono poi la base della prima raccolta El rosario del cor (1895).
Proprio in quell'anno intraprese la carriera giornalistica, collaborando con il quotidiano L'Adige e in seguito con il Gazzettino. Si unì di forte amicizia con i colleghi poeti dialettali Alfredo Testoni (bolognese) e Carlo Alberto Salustri (noto come Trilussa, romano), assieme ai quali prese parte al Teatro Duse di Bologna ad un ciclo di serate promosse per beneficenza nel 1901 dalla Società "Dante Alighieri". Celebre è una caricatura dei tre fatta da Augusto Majani, in arte "Nasica", in cui il Barbarani, con la lira poetica tra le mani, è raffigurato con sullo sfondo l'Arena di Verona.
L'ultimo periodo della sua vita coincise con la seconda guerra mondiale e con una serie di perdite familiari: prima il figlio del fratello Vittorio, suo unico amato nipote; poi la moglie Anna Turrini, deceduta nell'autunno del 1944. Tre mesi dopo, gravemente indebolito nell'animo e nel fisico, dopo il furioso bombardamento aereo del 4 gennaio 1945, Berto Barbarani fu ricoverato in ospedale, dove morì il 27 gennaio.[1]
«Quà, dove l'Adese, sensa fermarse
rompe nei ponti la so canson,
stao atento ai versi che pol negarse,
li tiro a riva, col me baston..»
La lirica dialettale del Barbarani è rappresentata soprattutto dai quattro Canzonieri veronesi (1895 - 1936).[2] Pur con i limiti evidenziati da alcuni critici, questo «poeta d'istinto» [3] è considerato «uno dei più delicati e schietti interpreti delle aspirazioni e delle sofferenze del popolo veronese, di città e di campagna».[4]
Riprendendo l'antica tradizione letteraria del dialetto veronese, il poeta lo elabora con amorevole cura e con risultati poetici apprezzati dalla maggioranza dei critici, soprattutto post mortem. Le sue liriche rappresentano, con tocco lieve e spesso con accenti crepuscolari, ambienti e figure della vita quotidiana nella Verona del suo tempo: con le sue miserie (I Pitochi) e le sue tragedie (come la disastrosa inondazione di Verona del 1882), ma anche con gioiosi affreschi popolari pieni di vita, come ad esempio quello della lirica San Zen che ride (1911).
In queste poesie dialettali affiorano anche l'amore e il sorriso, ma restano note dominanti la malinconia e la consapevolezza della precarietà del vivere.
Una raccolta organica di tutte le poesie di Berto Barbarani è quella compresa nella collana Classici contemporanei italiani, Milano, Mondadori, 1953.
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