Cladribina | |
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Nome IUPAC | |
2-clorodeossiadenosina | |
Caratteristiche generali | |
Formula bruta o molecolare | C10H12ClN5O3 |
Massa molecolare (u) | 285.69 g/mol |
Numero CAS | |
Numero EINECS | 636-978-6 |
Codice ATC | L01 |
PubChem | 20279 |
DrugBank | DBDB00242 |
SMILES | Clc1nc(c2ncn(c2n1)[C@@H]3O[C@@H]([C@@H](O)C3)CO)N |
Dati farmacologici | |
Teratogenicità | D |
Dati farmacocinetici | |
Legame proteico | 20% |
Emivita | 5.4h |
Indicazioni di sicurezza | |
La cladribina è un farmaco chemioterapico e immunosoppressore utilizzato per la terapia della leucemia a cellule capellute (tricoleucemia) e della sclerosi multipla recidivante-remittente. Il suo nome chimico è 2-clorodeossiadenosina (2CDA).
Il nome commerciale della formulazione sottocutanea è Litak e di quella endovenosa è Leustatin. La formulazione in compresse di cladribina è una terapia orale indicata per il trattamento della sclerosi multipla recidivante (SMR) a elevata attività, approvata in Europa nel 2017.[1]
La cladribina è nata come un composto antilinfocitario[2] ed è stata sintetizzata per la prima volta presso la Brigham Young University[3].
Nel 2008, Ernest Beutler ha vinto il Wallace H. Coulter Award for Lifetime Achievement in Hematology, istituito dalla Fondazione Coulter e dalla American Society of Hematology, per aver dimostrato come la somministrazione di cladribina sia il trattamento maggiormente efficace per la tricoleucemia[2].
Nel 2010, uno studio clinico di fase III condotto su 1000 pazienti, e pubblicato lo stesso anno ha documentato una significativa riduzione del tasso di recidiva di sclerosi multipla in pazienti che utilizzavano la cladribina somministrata oralmente. Questo ha fatto sì che diventasse il principale farmaco orale utilizzato nella terapia della sclerosi multipla durante il 2011[4].
Il primo paese ad averne approvato l'uso clinico per il trattamento della sclerosi multipla è stata la Russia nel luglio del 2010[5]. Nei paesi dell'Unione europea, il Committee for Medicinal Products for Human Use dell'Agenzia europea per i medicinali (EMEA) non ne ha invece approvato l'indicazione clinica[6]. Nel marzo del 2011 la Food and Drug Administration (FDA) non ha approvato l'uso della cladribina nella terapia della sclerosi multipla[7], "riconoscendo sufficienti dati a conferma dell'efficacia del farmaco nella trattamento della sclerosi multipla, ma richiedendo ulteriori dati riguardo alla sicurezza e il rapporto rischio/beneficio[8].
Nel giugno del 2011 la Merck ha deciso di ritirare dal commercio il farmaco nella sua formulazione in compresse e di sospendere la vendita nei due paesi dove l'uso era stato approvato, Russia e Australia[9].
Nell’agosto del 2017[10], a seguito di una nuova richiesta di approvazione inoltrata nel 2015[11], la Commissione Europea ha autorizzato l’immissione in commercio per Cladribina Compresse per il trattamento delle forme recidivanti di sclerosi multipla (SMR)[1]
Il programma di sviluppo clinico per cladribina nel trattamento della sclerosi multipla include dati relativi a circa 10.000 anni-paziente, con più di 2700 pazienti arruolati nel programma di sperimentazione clinica e – per alcuni di essi – fino a 10 anni di osservazione. Il programma comprende i seguenti studi clinici:
In quanto analogo delle purine agisce sia come chemioterapico, sia come immunosoppressore. Chimicamente esso mima il nucleotide adenosina e inibisce l'enzima adenosina deaminasi, che interviene nella capacità della cellula di processare il DNA. Viene facilmente distrutto dalle cellule ad esclusione di quelle ematiche, garantendo quindi pochi effetti collaterali e una grande precisione nel bersaglio terapeutico.
È stato dimostrato che la cladribina esercita un effetto a lungo termine agendo in modo selettivo e transitorio sui linfociti ritenuti parte integrante del processo patologico della sclerosi multipla recidivante (SMR).[17]
L'infusione endovenosa e sottocutanea di cladribina è approvata per il trattamento della tricoleucemia sintomatica[18][19].
Solo La formulazione endovena è indicata anche nella leucemia linfatica cronica leucemie a cellule B, come il linfoma mantellare[20], e nella terapia dell'istiocitosi.
La cladribina in compresse è una terapia orale somministrata a cicli e approvata per il trattamento di pazienti adulti con sclerosi multipla recidivante (SMR) ad elevata attività.[17]
Nella tricoleucemia il farmaco può essere somministrato per via endovenosa (tra 1 e 4 ore, con tempo medio di 2 ore oppure per 24 ore nella infusione venosa lenta tramite catetere venoso centrale) o per via sottocutanea. La dose somministrata e l'efficacia sono identici, tuttavia la somministrazione sottocutanea può essere preferita per ridurre il rischio di infezione dovuto alla puntura della vena[21].
Nel trattamento della sclerosi multipla la cladribina viene somministrata per via orale.
Che si utilizzi la somministrazione endovenosa o quella sottocutanea, la cladribina può essere somministrata quotidianamente o settimanalmente:
Un ciclo è generalmente sufficiente a garantire una risposta completa, tuttavia, nel caso la risposta sia parziale, i cicli possono essere ripetuti 1-3 mesi dopo la fine del primo ciclo.
La dose da somministrare viene calcolata sul valore della superficie cutanea e suddivisa per il numero di trattamenti previsti.
Quale che sia il programma utilizzato, i benefici e gli svantaggi sono simili. La somministrazione quotidiana garantisce la stessa dose di quella settimanale è porta agli stessi risultati in termini di remissione completa della malattia e di effetti collaterali[22], quali ospedalizzazione per episodi febbrili, neutropenia e infezioni opportunistiche[23].
Per la somministrazione orale di cladribina in compresse la dose raccomandata cumulativa è di 3,5 mg/kg di peso corporeo in 2 anni, somministrata come un ciclo di trattamento da 1,75 mg/kg per anno. Ogni ciclo di trattamento consiste di 2 settimane di somministrazione, una all’inizio del primo mese e una all’inizio del secondo mese dell’anno di trattamento corrispondente. Ogni settimana di trattamento consiste di 4 o 5 giorni in cui il paziente assume 10 mg o 20 mg (una o due compresse) come singola dose giornaliera, in base al peso corporeo. Dopo il completamento dei 2 cicli di trattamento, negli anni 3 e 4 non è necessario un ulteriore trattamento con cladribina. Non è stata studiata una ripresa della terapia dopo il quarto anno.[17]
Gli studi presentano un'incidenza di febbre successiva alla somministrazione di cladribina compresa tra il 18%[24] e il 42%[25]; si tratta di solitamente di febbre transitoria responsiva alla somministrazione di paracetamolo[26]. Questi episodi febbrili, che si risolvono generalmente in meno di 48 ore[27], non sembrano essere correlati a episodi infettivi.
Nei casi in cui la febbre duri più di due giorni si può sospettare un'infezione[27][28]. I casi documentati sono veramente pochi[25], ma sono tuttavia responsabili del 3% di mortalità associata a terapia con cladribina nella tricoleucemia[29].
Tra i fattori che aumentano la probabilità di una febbre associata a neutropenia (in presenza o meno di infezione) ci sono: anemia, ipercolesterolemia, aumento del rapporto tra cellule capellute e cellule cellule emopoietiche nel midollo osseo, bassa albuminemia e alti livelli di proteina C-reattiva (tutti reperti che orientano verso una situazione leucemica avanzata).
Nei pazienti affetti da tricoleucemia l'uso di fattori di crescita per i granulociti (G-CSF), come il filgrastim, e per i macrofagi (GM-CSF) non permette l'aumento profilattico del numero di leucociti[25][29]. L'utilizzo di questi farmaci estremamente costosi, inoltre, non riduce l'incidenza di febbre, la sua durata o il numero di pazienti ospedalizzati per terapia antibiotica[25], e quindi il loro uso routinario non è raccomandato[25].
Oltre alla febbre, la cladribina aumenta il rischio di manifestazioni dell'infezione da Herpes Virus, in particolare herpes zoster[24].
Alcuni pazienti manifestano rash cutaneo dopo il trattamento. Tuttavia quasi tutti i pazienti che lo sviluppano assumono altri farmaci, soprattutto allopurinolo e solfonammidi, conosciuti per causare rash cutanei e ai quali va probabilmente imputato l'effetto collaterale stesso, più che alla cladribina.
Nei pazienti, durante il trattamento, una diminuzione delle cellule del sangue è attesa. Poche settimane dopo la fine della terapia l'esame emocromocitometrico risulta generalmente nella norma, con un recupero precoce soprattutto delle piastrine e dei neutrofili, rispetto a eritrociti e linfociti T. In particolare i linfociti T-helper potrebbero non tornare alla conta precedente al trattamento. Ai pazienti è raccomandato di evitare il contatto con individui malati, di lavarsi le mani e di tenerle lontane da occhi, naso e bocca fino alla normalizzazione dei neutrofili.
Certi pazienti potrebbero richiedere trasfusioni di piastrine o di globuli rossi[22].
Molti pazienti, anche in assenza di anemia, possono mostrare stanchezza, che tuttavia potrebbe essere attribuita più alla malattia che alla terapia.
Il farmaco non causa perdita di capelli, vomito o altri effetti collaterali caratteristici dei farmaci alchilanti; tuttavia sono stati riportati casi di neuropatia periferica.
Il sovradosaggio può causare danno renale.
Secondo la FDA[30] il tempo mediano per la normalizzazione dei valori ematici nel paziente affetto da tricoleucemia è:
Le settimane sono contate dal primo giorno di trattamento; ai pazienti utilizzati per questo studio è stato somministrato il programma quotidiano.