Topi | |
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Maschio (in alto) e femmina (in basso) nel Parco nazionale Queen Elizabeth (Uganda) | |
Stato di conservazione | |
Vulnerabile[1] | |
Classificazione scientifica | |
Dominio | Eukaryota |
Regno | Animalia |
Phylum | Chordata |
Classe | Mammalia |
Ordine | Artiodactyla |
Famiglia | Bovidae |
Sottofamiglia | Alcelaphinae |
Genere | Damaliscus |
Specie | D. lunatus |
Sottospecie | D. l. jimela |
Nomenclatura trinomiale | |
Damaliscus lunatus jimela (Matschie, 1892) | |
Areale | |
Il topi (Damaliscus lunatus jimela (Matschie, 1892)), talvolta chiamato anche topi del Serengeti per distinguerlo dal topi della costa (D. l. topi)[1], è una sottospecie di damalisco originaria delle savane dell'Africa orientale[2].
Il topi ha un aspetto simile a quello dell'alcelafo, ma rispetto a questo ha una colorazione più scura e corna non altrettanto incurvate. Ha testa allungata, una caratteristica gobba alla base del collo e una colorazione bruno-rossastra con chiazze viola scuro sulla parte alta delle zampe. Presenta inoltre una sorta di «maschera» scura sul muso. Ha corna anellate e a forma di lira[3]. Il mantello è costituito da peli corti e lucenti[4]. Il peso varia tra 68 e 160 kg e la lunghezza testa-corpo tra 150 e 210 cm; la coda misura 40-60 cm. L'altezza al garrese, maggiore che nelle altre sottospecie, varia tra 100 e 130 cm[5][6]. I maschi tendono ad essere più grandi e più scuri delle femmine. Come tutti i suoi simili, possiede ghiandole preorbitali che secernono un olio di colore trasparente e ghiandole tra gli zoccoli delle zampe anteriori[3].
Il topi occupa un areale esteso ma frammentato, dal momento che predilige solamente certi tipi di distese erbose in biomi aridi e di savana[3]. La caccia ad opera dell'uomo e la distruzione dell'habitat hanno ulteriormente isolato le popolazioni[3]. Attualmente è presente in Kenya sud-occidentale, Tanzania nord-occidentale e occidentale, Uganda orientale e sud-occidentale e Ruanda nord-orientale. È estinto a livello regionale nel Burundi[2].
I topi vivono principalmente in habitat erbosi che variano dalle pianure prive di alberi alle savane[3]. Negli ecotoni tra aree boschive e distese erbose aperte si trattengono lungo il limite degli alberi, rifugiandosi alla loro ombra durante le ore più calde della giornata[3]. Preferiscono i pascoli con erba verde di media altezza e aspetto simile a un prato. Raggiungono una maggiore densità nelle aree in cui le piante verdi sopravvivono fino alla stagione secca, in particolare vicino all'acqua[7]. Il topi è un erbivoro selettivo e utilizza il muso allungato e le labbra flessibili per selezionare le piante più fresche[3]. Quando è in cerca di cibo, tende a dare piccoli morsi in rapida successione[8]. Generalmente frequenta le distese pianeggianti ad altitudini inferiori ai 1 500 m[3]. Quando ha accesso a vegetazione verde a sufficienza, di solito non ha bisogno di bere; beve di più quando ha a disposizione solo erba ingiallita di cui nutrirsi[9]. I topi sfruttano i punti sopraelevati, come i termitai, per scrutare bene l'ambiente circostante[3].
Nelle aree in cui sono presenti, i topi sono generalmente numerosi[4]. Le popolazioni sparse non durano a lungo, ma aumentano di numero o scompaiono[4]. La salute di una popolazione dipende dall'accesso alla vegetazione verde[4]. I branchi si spostano da un pascolo all'altro: la più grande migrazione è quella che ha luogo nel Serengeti, dove questi animali si uniscono alle mandrie di gnu, zebre e gazzelle[10]. Tra i predatori del topi vi sono i leoni e le iene maculate, mentre gli sciacalli prendono di mira i neonati. Nelle zone in cui sono presenti, le iene costituiscono la principale minaccia[11]. Tuttavia, il tasso di predazione si riduce nel caso siano presenti altre specie[3].
Il topi presenta quella che è forse l'organizzazione sociale più diversificata tra le antilopi[12]. Le mandrie possono essere a «dispersione perennemente sedentaria», ad «aggregazione perennemente mobile» o una via di mezzo tra le due. Questo dipende dall'habitat e dall'ecologia delle aree in cui si trovano[3]. Inoltre, l'organizzazione riproduttiva varia tra il tradizionale sistema territoriale o di difesa di gruppi poliginici a raggruppamenti di esemplari che occupano territori di breve durata e a sistemi di lek. Nelle chiazze erbose circondate da aree boschive, i topi sono presenti con popolazioni a dispersione sedentaria[12]. I maschi si stabiliscono in territori che attirano le mandrie di femmine con la loro prole. A seconda della dimensione di tali chiazze erbose, i territori possono raggiungere una superficie di 4 km² e talvolta confinano l'uno con l'altro[3]. Il legame di una femmina con un territorio può durare fino a tre anni nel Serengeti[12]. Le femmine presenti in questi territori fanno parte dell'harem del maschio residente. Queste mandrie tendono ad essere chiuse agli estranei (fatta eccezione per nuove femmine) e sia il maschio che le sue femmine si occupano della difesa del territorio[13]. Quando il maschio residente è assente, la femmina dominante può assumere i suoi comportamenti, difendendo il territorio dalle intrusioni dei consimili di entrambi i sessi con il caratteristico «piccolo galoppo dondolante» ed esibendo l'andatura del trotto[3]. Nelle zone più densamente popolate, come quelle del parco nazionale Queen Elizabeth in Uganda, i topi si spostano attraverso la pianura e stabiliscono territori durante i periodi di riposo[3].
In aree come il parco nazionale dell'Akagera in Ruanda e la riserva nazionale del Masai Mara in Kenya, i maschi di topi si stabiliscono in lek, vale a dire aree utilizzate da gruppi di decine di esemplari anno dopo anno[14]. Gli animali si scontreranno all'interno del lek, in particolari appezzamenti detti corti. Il maschio più robusto si insedia di norma nella parte centrale, al centro del lek[15]. Dopo un certo periodo ogni esemplare si sarà insediato al centro della sua corte, i cui confini sono marcati dai propri escrementi. Ogni tanto le antilopi cominciano a galoppare lungo il confine della loro corte; quando incontrano il possessore della corte limitrofa, lo fronteggiano chinandosi a mimare una carica imminente. Talvolta gli animali si accucciano sulle zampe anteriori e rimangono fissi in quella posizione per alcuni minuti, nella più completa immobilità[10]. Quando la femmina diventa sessualmente ricettiva incomincia a visitare il lek e trotterella fra i territori periferici dei maschi più giovani; questi tentano ripetutamente di accoppiarsi, ma la femmina li evita, facilitata in questo dal fatto che essi non superano i confini della loro corte. Finalmente la femmina raggiungerà la corte centrale e qui si accoppierà col maschio dominante[3]. I maschi più lontani dal centro possono aumentare la loro possibilità di successo riproduttivo occupando territori contigui all'acqua[14]. Anche le femmine competono tra loro per accoppiarsi con i maschi dominanti[16], dal momento che entrano in estro solamente per un unico giorno dell'anno. Le femmine preferiscono accoppiarsi con i maschi dominanti con cui si sono già accoppiate prima, ma i maschi cercano di accoppiarsi con il maggior numero possibile di femmine[16], cercando di bilanciare equamente l'investimento di energia necessario ad accoppiarsi con le varie femmine[16]. Queste, tuttavia, interrompono aggressivamente gli accoppiamenti che hanno luogo tra i loro maschi preferiti ed altre femmine[16]. Le femmine subordinate vengono interrotte più spesso di quelle dominanti. Alla fine, saranno anche gli stessi maschi a respingerle, rifiutando di accoppiarsi ancora con esse[16].
La stragrande maggioranza delle nascite ha luogo tra ottobre e dicembre e la metà di esse si verifica in ottobre[17]. I piccoli possono trascorrere i primi giorni di vita nascosti tra l'erba alta (come quelli del blesbok) o seguire la madre (come quelli dello gnu striato)[3]. I piccoli sono in grado di seguire la madre immediatamente dopo la nascita[10] e non si fermano mai (almeno durante il giorno)[3]. D'altra parte, le femmine si allontanano dalla mandria per partorire e i piccoli generalmente trascorrono la notte in un luogo nascosto[3]. I giovani rimangono con la madre per un anno o fino alla nascita di un nuovo piccolo. Sia i maschi che le femmine di un anno possono aggregarsi ai branchi di scapoli[3].
La Lista rossa IUCN classifica Damaliscus lunatus jimela come sottospecie vulnerabile (Vulnerable).[1].