Emanuele Grazzi (Firenze, 30 maggio 1891[1] – Roma, 7 settembre 1961[1]) è stato un diplomatico, scrittore e traduttore italiano.
Emanuele Grazzi era figlio di Teresa Barsanti e Vittorio Grazzi. Nel novembre del 1911 si laureò in Giurisprudenza all'Università di Pisa. L'11 settembre 1934 sposò a Firenze Anna Cocchi. Si sposò una seconda volta l'11 aprile 1942 a Roma con Renata Maria Polito[2].
Il 31 luglio 1912 entrò nel servizio diplomatico e fu nominato ufficiale consolare. Il 7 agosto 1912 fu inviato a Tunisi e dal 20 luglio 1913 fu nominato vice console di seconda classe[3][4][5]. Nel 1915 si arruolò nell'esercito italiano, servì come ufficiale di artiglieria nella prima guerra mondiale, e fu decorato con la Croce di guerra al valor militare[1][6]. Su richiesta dell'Addetto militare italiano all'Aia, alla fine del 1916 fu inviato a Rotterdam per svolgere il delicato compito di servizio di informazione politico-militare[1]. Nel 1918 fu delegato al Comitato economico interalleato a Helsinki e stabilì i contatti con il governo finlandese, che portarono il 27 giugno 1919 al riconoscimento del nuovo stato finlandese da parte del Regno d'Italia[1].
Nel 1919 fu assegnato al commissariato politico in Germania e nel 1920 divenne console a Berlino. Nel 1922 fu console a Florianópolis, nel 1925 a Tolosa e nel 1927 console generale a New York. Dal 1933 al 1934 fu ministro plenipotenziario a Città del Guatemala. Dall'ottobre 1934 fu posto a capo della Direzione generale stampa estera del neo costituito sottosegretariato per la Stampa e Propaganda, guidato da Galeazzo Ciano e, nel 1935, quando il sottosegretariato fu elevato a ministero, vi assunse la carica di direttore generale. Nel 1936 venne nominato direttore generale per gli affari trans-oceanici e nel 1937 direttore generale del dipartimento politico del ministero degli Affari esteri.
Dal 19 aprile 1939 al 7 novembre 1940 fu ministro plenipotenziario ad Atene; accettò questo incarico con titubanza, giacchè non si reputava esperto di questioni balcaniche. La sua missione coincise con un peggioramento dei rapporti tra Roma e Atene a causa del timore di un attacco italiano che aveva assalito i Greci dopo che, il 7 aprile 1939, era iniziata l'occupazione dell'Albania. Grazzi fece il possibile per mantenere pacifiche le relazioni tra i due paesi, ma l'ambizione di Mussolini e Ciano glielo impedì[7][8]. Il 28 ottobre 1940 guidò fino alla residenza di Ioannis Metaxas a Kifisià, un sobborgo di Atene, e alle tre del mattino gli consegnò l'ultimatum di Benito Mussolini chiedendo la piena libertà di movimento militare in Grecia.
«Alors, c'est la guerre (Allora, è la guerra)»
«Pas nécessaire, mon excellence (Non necessariamente, eccellenza)»
«Non, c'est nécessaire (No, è necessaria)»
Questo Non, in greco ochi, ha dato alla festa nazionale greca del 28 ottobre il nome di Giorno del No (Το όχι).[9] Nonostante non fosse colpevole del disastro ellenico, venne pubblicamente additato da alcuni settori del regime come uno dei responsabili e, di conseguenza, rimase inattivo per circa un anno e mezzo. Nel maggio del 1943 tornò a prestare servizio al Ministero degli Esteri nel quadro di una riorganizzazione dello stesso seguita all'esautorazione di Ciano. Nel luglio del 1943 fu nominato ministro plenipotenziario a Belgrado; nella capitale serba, dopo la caduta di Mussolini, fu contattato da Draža Mihajlović, comandante dei cetnici, nell'ipotesi che gli italiani rompessero l'alleanza con la Germania[1][10].
Il 16 settembre 1943 aderì alla Repubblica sociale italiana, che lo nominò ministro plenipotenziario a Budapest il 30 settembre 1943, dove non giunse mai, e a metà ottobre 1943 fu dimesso dall'incarico per "infedeltà" al regime[11]. Nei mesi successivi soggiornò a Venezia, dove i tedeschi lo sottoposero a vigilanza. Dopo la guerra riuscì a dimostrare la sua non reale adesione alla RSI e fu reintegrato nel ruolo. Nel dicembre del 1947 fu messo in pensionamento col rango di inviato straordinario e ministro plenipotenziario. In seguito collaborò, scrivendo articoli, con diversi giornali, tra cui Il Giornale d'Italia e la Gazzetta del Popolo, e alcune riviste. Pubblicò anche alcune traduzioni dall'inglese.
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