Finisce sempre così è un film del 1939, diretto da Enrique Susini.
Alberto Milnar, un giovane organista e compositore, deluso in amore per causa di una sua cugina sbadata, sposa ad un suo amico che vive a Budapest e a cui egli ingenuamente invia della sua musica e che questi sfrutta presso un editore facendosi credere l'autore, se ne va nella capitale ungherese dove capita nella casa dei suoi amici proprio al momento in cui una tempesta coniugale è scoppiata per causa della gelosia della moglie. L'antico amore si ridesta in lui, e le promette di aiutarle nello scoprire il tradimento del marito. La accompagna quindi in un locale dove l'amica di suo marito si esibisce come concertista. Ma Alberto, riconoscendo nelle canzoni che essa canta quelle che lui ha scritto, lo dichiara pubblicamente ai presenti fra l'incredulità di tutti. Intanto la cugina divorzia dal marito infedele, dicendo ad Alberto di volerlo sposare in seconde nozze; egli accetta ma si accorge ben presto che la donna non è più innamorata di lui ma sempre appassionatamente del suo ex marito. Con generosità egli le ridà la parola, e mentre sta per ritornare al paese triste e amareggiato, una sua graziosa ammiratrice, Maritza, venuta in città a cercarlo, sarà colei che gli aprirà finalmente il cuore all'amore.[1]
«Enrique T. Susini ha diretto precedentemente in Argentina, il film La Chinosa e, in Argentina e in Italia, ha allestito spettacoli teatrali, melodrammi e operette. Evidentemente il suo genere preferito è l'operetta. Finisce sempre così vorrebbe essere un'operetta cinematografica, un film cioè il cui ritmo delle immagini si adegua al commento musicale e non viceversa. Ne sarebbe potuto uscire un film del tipo Amami stanotte di Rouben Mamoulian qualora il soggetto fosse più ricco di interesse e il regista fosse più provveduto. Infatti egli dimostra di non conoscere la tecnica cinematografica più elementare; la tecnica degli attacchi tra quadro e quadro, molto spesso legati l'uno all'altro da dissolvenze incrociate. Così non accade quasi mai di vedere una esatta relazione tra i piani e spesso gli attacchi sul movimento sono sbagliati. Nei lunghi quadri che divengono necessariamente teatrali si nota tuttavia qualche intenzione, circa il tono che il regista voleva raggiungere. È stato molto aiutato in ciò dall'attore Vittorio De Sica, la cui recitazione risulta particolarmente misurata. Da ricordare la sequenza che si svolge in chiesa, dove l'organista [...] compositore di musica leggera, nel guardare una ragazza, comincia ad improvvisare all'organo trasformando a poco a poco il ritmo della musica religiosa in musica allegra [...]»
«Non sappiamo perché l'Ungheria sia costantemente presa di mira da tutti quei soggettisti che cercano di dare una nazionalità agli sfondi dei loro lavori, nati anonimi, particolarmente poi quando tali lavori hanno la grama e labile consistenza di Finisce sempre così. Forse la colpa è degli opuscoli delle agenzie di viaggio che hanno propagandato ormai di Budapest e di quelle terre un'idea tipicamente turistica e domenicale. Ma in fondo è proprio vero che finisce sempre così; si esce dal cinema un po' delusi, forse anche seccati, ma dopo una mezz'ora si dimentica e non ci si pensa più su.»