Il galateo in Giappone è ritenuto l'insieme delle norme comportamentali adottate nel paese del Sol Levante per districarsi correttamente e con educazione nelle più differenti situazioni sociali. L'attuale galateo diffuso in Giappone è in parte condizionato da usanze mutuate anticamente dalla Cina e più di recente dalla civiltà occidentale, pur mantenendo salde numerose caratteristiche peculiarmente autoctone. Alcune pratiche sono cambiate nel corso della storia, mentre altre variano a seconda della regione del Giappone in cui ci si trova. Esistono tuttavia molteplici pratiche comuni per lo più in tutta la nazione e che costituiscono gli usi e i costumi tipici del Giappone.[1]
Prima di iniziare a consumare un pasto in Giappone è buona consuetudine pronunciare l'espressione: Itadakimasu (いただきます). Generalmente tradotta come "buon appetito", letteralmente assume il significato di "ricevo umilmente" e serve a ringraziare tutti colore che hanno partecipato alla preparazione del piatto, compresi vegetali e animali che hanno dato la loro vita per consentire ai commensali di potersi cibare. Dire questa espressione viene considerata sia una pratica laica che religiosa. Lasciare avanzi di cibo o chiedere di poter portare a casa quanto rimasto nel piatto non è socialmente ritenuto corretto. Inoltre è considerato buona educazione cominciare a mangiare soltanto quando tutti i banchettanti hanno ricevuto la propria porzione di vivande. A fine pasto è ritenuto garbato pronunciare: Gochisōsama deshita (ごちそうさまでした). Questa espressione esprime gratitudine e apprezzamento per il cibo che si è consumato.[2]
Essendo i giapponesi molto precisi quando si parla di etichette e ritualità, persino una serata a base di alcolici ha delle norme da seguire. Non si deve mai versarsi da bere in solitaria, ma è ritenuto opportuno che sia uno dei commensali presenti nel tavolo ad incaricarsi di farlo, specialmente se si tratta di colleghi di lavoro. In tal caso si deve seguire la gerarchia di senpai e kohai, in cui è il più giovane o inesperto a servire i colleghi più anziani o di grado superiore. Sia nel caso in cui si stia servendo da bere oppure che si stia attendendo di riceverlo, lo si deve fare adoperando entrambe le mani per tenere la bottiglia o il bicchiere. Oltretutto è ritenuto un comportamento maleducato iniziare a bere prima del brindisi, effettuato con l'espressione: kanpai (乾杯), che ha il significato letterale di "svuotiamo il bicchiere". Il brindisi va effettuato senza guardarsi negli occhi, come invece generalmente accade nei paesi occidentali. È buona norma inoltre che al primo giro tutti i partecipanti consumino la stessa bevanda.[3]
Le bacchette furono introdotte nell'arcipelago giapponese in tempi antichi dalla Cina e dalla Corea e fanno ormai parte della tradizione giapponese, in quanto ancora oggi sono molto utilizzate. Durante il loro impiego una delle due bacchette (quella inferiore) deve rimanere ferma mentre è l'altra a muoversi, in modo che insieme possano afferrare il cibo. È decoroso evitare di utilizzare le bacchette per indicare e gesticolare mentre si mangia, limitandosi a utilizzarle per il loro scopo. Non vanno inoltre mai impiegate per infilzare le pietanze e non si dovrebbe alzarle oltre l'altezza della propria bocca. Bisogna poi tenere conto del fatto che l'estremità delle bacchette non deve toccare la superficie della tavola, a tal proposito si devono adoperare gli appostiti poggia-bacchette. Inoltre è bene ricordare che non bisogna mai conficcare le bacchette in verticale nella ciotola contenete il riso e neanche passare il cibo direttamente dalle proprie bacchette a quelle di un altro commensale, poiché tali azioni ricordano le usanze tipiche dei riti funebri buddhisti.[4]
Il sushi è uno degli alimenti che ha reso celebre il Giappone nel mondo e il suo consumo è regolato da norme abbastanza rigide. Deve essere mangiato in un solo boccone, non va in nessun caso spezzato o tagliato con un coltello. Infatti i singoli pezzi di sushi sono serviti di piccole dimensioni, consentendo di poter essere introdotti totalmente all'interno della bocca. Può essere mangiato sia con l'ausilio di bacchette che con le mani; anzi è proprio quest'ultima modalità la più consigliata, sebbene sembri piuttosto strana secondo le usanze occidentali. Inoltre per quanto riguarda i condimenti, salsa di soia e wasabi non dovrebbero mai essere mischiati direttamente all'interno della ciotola. Sarebbe infine opportuno che nel piatto non resti avanzato nemmeno un singolo chicco di riso.[5]
Fare il bagno presso onsen e sentō è un aspetto profondo e radicato della cultura giapponese, che segue un decalogo antico e rigoroso mutuato dai rituali di purificazione della tradizione shintoista. Tenere un comportamento decoroso in questi luoghi è cruciale in quanto sono punti di ritrovo e socialità, in cui l'esperienza del bagno diventa un momento conviviale oltre che di igiene e relax personale. Nella maggior parte dei casi le stazioni termali e i bagni pubblici possiedono sezioni divise per maschi e femmine in cui i fruitori sono tenuti a denudarsi completamente prima di entrare in acqua; sebbene in alcuni casi esistano strutture miste dove invece si è tenuti a indossare un costume da bagno. Poiché si tratta di vasche comuni, è opportuno farsi la doccia prima di fare il bagno in modo da non inquinare le acque. È bene tenere in considerazione il tabù riguardante i tatuaggi in Giappone, generalmente associati ai membri della yakuza, ovvero la criminalità organizzata autoctona. Nella maggioranza dei casi i tatuaggi, specie se vistosi, non sono ammessi all'interno delle stazioni termali; mentre vengono più spesso accettati presso i bagni pubblici. In alternativa è possibile disporre di un bagno privato all'interno di un ryokan.[6]
Al contrario di quanto avviene nei paesi dell'occidente in cui il biglietto da visita svolge una funzione prettamente pubblicitaria o divulgativa, in una società gerarchica come quella giapponese, dove il bene della collettività supera quello dell'individuo assume un significato più profondo, in quanto lo scambio dei suddetti (Meishi kōkan, 名刺交換) tra due persone è una formalità pressoché ufficiale. Il biglietto deve essere consegnato e ricevuto rigorosamente con due mani mentre ci si trova in posizione eretta, inoltre il destinatario deve leggere e mostrare interesse per l'oggetto ricevuto, soprattutto se l'azione si svolge in ambito lavorativo. Al termine dello scambio è buona educazione accennare un inchino in segno di riverenza. Esimersi da tale etichetta equivale manifestare un comportamento quantomeno irrispettoso, che mostra scarsa considerazione sia per la propria azienda, sia verso gli interlocutori con cui si sta negoziando la trattativa.[7]
L'inchino è probabilmente una delle usanze più peculiari del popolo nipponico, attraverso il quale esprime non solo un semplice saluto in sostituzione alla stretta di mano occidentale, ma anche altre molteplici situazioni come riverenza, ammirazione oppure rammarico. Sembra che in origine avesse una funzione principalmente cerimoniale e religiosa, per poi divenire nel corso dei secoli un aspetto popolare quotidiano. Ad alimentare la diffusione di questa usanza ha senz'altro giocato un ruolo fondamentale la scarsa propensione dei giapponesi al contatto fisico, che con l'inchino viene annullato potendo mantenere una certa distanza.[8]
Esistono diverse modalità di inchino in Giappone, usarne una piuttosto che un'altra dipende dai diversi fattori che compongono la situazione. L'inchino a 15° è chiamato Eshaku (会釈); esso è il più informale e viene adoperato per scusarsi di banali malintesi quotidiani, oppure sul posto di lavoro come forma di saluto nei confronti di clienti e colleghi di pari grado. In secondo luogo c'è l'inchino a 30° Keirei (敬礼), utilizzato generalmente per salutare il proprio capo o comunque un superiore oppure un anziano. Inoltre si ha il Saikeirei (最敬礼), l'inchino a 45°. È di solito riservato al ricevimento di personalità molto illustri e di alto rilievo. Il suo impiego è altresì valido per situazioni in cui sia necessario scusarsi o ringraziare sentitamente. Infine è da menzionare il Dogeza (土下座), si tratta del più profondo tra gli inchini ed è in grado di trasmettere un grande senso di ossequio. Viene praticato inginocchiandosi a terra e portando mani e viso davanti alle ginocchia. In epoca odierna è un inchino piuttosto desueto nella vita di ogni giorno e viene difatti riservato per scuse estremamente formali, con l'intento di chiedere perdono a causa di un'azione estremamente grave che è stata commessa.[9]
La forte gerarchizzazione della società nipponica ha finito per influenzare inevitabilmente anche il linguaggio adoperato, adattandolo a ciascun tipo di conversazione. Il linguaggio onorifico giapponese è stato sviluppato nel corso delle epoche proprio per tale ragione. Questo rispettoso registro linguistico prende il nome di Keigo (敬語) e viene adoperato con l'intento di rivolgersi al proprio interlocutore in forma educata, garantendo così l'armonia sociale. Nella lingua giapponese oggi in uso ci sono tre diverse tipologie di linguaggio onorifico: Teneigo (丁寧語) o "linguaggio gentile" , può essere equiparato a "dare del lei". È la forma più semplice da utilizzare e segue le medesime regole della forma colloquiale. Se ne fa impiego con tutte le persone sconosciute in una vasta gamma di situazioni sociali. Un'altra forma cortese è il Sonkeigo (尊敬語), ovvero il "linguaggio rispettoso". Il suo uso è specifico per quelle situazioni in cui si sta parlando con qualcuno situato in una posizione di superiorità nella scala sociale ed è caratterizzato da locuzioni e costruzioni grammaticali più complesse. Si ha infine il Kenjōgo (謙譲語), il "linguaggio umile". Viene adoperato esclusivamente quando si parla di sé stessi, con lo scopo di mostrare umiltà abbassando il proprio status. A ciascun registro linguistico sono attribuiti determinati suffissi onorifici, i quali determinano il grado di confidenza con l'interlocutore.[10]
Le buone maniere di comportamento sono essenziali per quanto riguarda la visita a un tempio buddista o un santuario shintoista in Giappone. Malgrado non ci sia un rigido modo di abbigliarsi quando ci si reca in visita in un luogo di culto giapponese, è raccomandabile indossare abiti decorosi e appropriati così da manifestare il dovuto rispetto a un ambiente di raccoglimento e preghiera. Agli stranieri che hanno poca confidenza con i culti diffusi nel Paese basterà adottare atteggiamenti di buonsenso, sebbene sia generalmente consigliato documentarsi a riguardo prima di effettuare una qualsiasi visita, soprattutto se non accompagnati da guide locali.
I santuari sono facilmente riconoscibili in quanto il loro ingresso è contrassegnato dalla presenza di un arco torii, davanti al quale è buona educazione inchinarsi. È inoltre consuetudine non attraversarlo esattamente al centro, poiché quello spazio è simbolicamente riservato al passaggio del kami. Si dovrebbe evitare di accedere al santuario indossando un cappello, il quale dovrebbe essere rimosso anche mentre si sta percorrendo il sandō, ovvero il sentiero che dal torii conduce alla sala principale, presso la quale è completamente interdetto accedere senza prima togliere le scarpe. Nel 1889 questa blasfemia costò la vita al ministro dell'istruzione Mori Arinori, il quale calpestò l'area sacra del Grande Santuario di Ise con le proprie calzature, venendo tempo dopo ucciso da un ex samurai e fanatico religioso. Per quanto riguarda la visita al santuario, una volta giunti al termine del percorso si potrà trovare una specie di fontanella, che ha lo scopo di distribuire acqua per purificarsi prima di entrare nel santuario vero e proprio. In questo frangente è necessario praticare il lavaggio di mani e bocca, attingendo dall'acqua della fontana tramite un mestolo di legno che si trova in corrispondenza. È assolutamente importante evitare di usufruire dell'acqua per la purificazione allo scopo di lavarsi o dissetarsi. Una volta giunti allo spazio dove risiede il corpo del kami, per eseguire una preghiera, esprimere un desiderio o ringraziare la divinità, è sufficiente offrire una moneta come porta fortuna, poi tirare la corda sacra per far suonare la campana, in modo da richiamare l’attenzione dei kami, bisogna quindi effettuare due inchini profondi e battere due volte le mani. Formulata silenziosamente la preghiera, si conclude infine con un inchino. Al chiosco adiacente è inoltre possibile procurarsi amuleti e talismani shintoisti, talvolta acquistandoli oppure lasciando un offerta al santuario.[11]
Accedendo agli spazi del tempio è di solito necessario togliersi le scarpe e togliere il proprio copricapo. Le donne dovrebbero entrare con il piede destro, mentre gli uomini con quello sinistro, ma sono in pochi a ricordare questa norma. Solitamente è consentito fotografare i terreni del tempio, ma spesso è invece vietato farlo all'interno della struttura sacra. Allo stesso modo per quanto accade nei santuari, l'entrata al tempio deve essere preceduta da un breve rituale di purificazione. Qualora si intenda pregare nella sala principale del tempio, è necessario lasciare alcune monete nella cassetta delle offerte. Non esiste assolutamente un importo predefinito e inoltre non è necessario battere le mani prima di effettuare le orazioni. Basta semplicemente inchinarsi giungendo le mani tra loro. In determinati templi fedeli e semplici visitatori possono decidere di accendere dei bastoncini d’incenso e lasciarli in segno di offerta. Uscendo dalla sala principale ci si inchina ulteriormente e lo si fa anche quando si esce definitivamente dall’area del tempio. Spesso ci sono funzioni quotidiane aperte al pubblico. Inoltre pagando un supplemento è persino possibile richiedere una funzione religiosa privata con uno scopo specifico. Recentemente trascorrere la notte in un tempio è divenuta un'esperienza assai in voga soprattutto presso i templi di montagna, come nel caso dei luoghi di culto buddhisti dislocati presso il Monte Kōya. Molti dei templi che offrono la possibilità di alloggiare al loro interno, invitano gli ospiti a partecipare ai rituali di preghiera mattutini, ai quali è buona norma presiedere ringraziando i monaci.[12]
I soldi in Giappone sono ritenuti inopportuni, pertanto in genere il pagamento in contanti alla cassa è effettuato mediante un piattino apposito, sul quale bisogna porre il denaro necessario. Non si devono dare i soldi direttamente nelle mani del commesso oppure prenderli dalle sue. Inoltre nel paese asiatico non è usuale dare la mancia al cameriere o al fattorino, poiché quest'ultimi sono già salariati e stanno facendo del loro meglio per poter fare in maniera che il cliente sia completamente soddisfatto. Quindi la mancia in molti locali e pubblici esercizi è addirittura disapprovata, venendo percepita quasi come un affronto. Se in altri contesti si deve dare dei soldi a qualcuno, i giapponesi sono soliti riporli all'interno di una busta apposita, la quale viene poi consegnata all'interessato.[13]
I regali sono una parte cruciale della cultura nipponica. Quando si dona qualcosa in Giappone bisogna sempre tenere conto del concetto di Kenson ( 謙遜), ovvero della modestia e dell'umiltà nei rapporti sociali. Mentre si consegna il regalo si deve quindi affermare che si tratta solo di un pensiero o di una cosa di poco valore, nonostante magari sia qualcosa di prezioso e notevole. I giapponesi fanno regali agli altri in molteplici occasioni: quando si è invitati a casa di qualcuno, qualora si debba ricambiare un favore, per tenere unito il luogo di lavoro, oppure per celebrare una festività. Come spesso accade nella cultura giapponese, la forma può essere più importante persino del contenuto, ecco perché incartare il regalo in un imballaggio ben decorato e presentabile è considerato doveroso. Per comprendere l'importanza di questo concetto, basti pensare che nel 1764 fu completato il manoscritto Hōketsuzusetsu, il quale esplicava le maniere più consone di incartare e rilegare i pacchetti da regalo seguendo uno specifico galateo. È inoltre considerato corretto scartare il dono non in presenza dell'offerente, ciò viene fatto per non creare disagi superflui.[14]
Il saluto è una parte importante della vita quotidiana giapponese. Difatti sin dalla scuola di infanzia i bambini vengono educati all'Aisatsu (挨拶), cioè a salutare. Non è quindi raro che gli studenti giapponesi più giovani possano salutare gli alunni più grandi in segno di rispetto. Perciò il saluto nella cultura del Sol Levante può avere un'importanza simile a quella che assume l'inchino. I saluti si dividono in informali (riservati a familiari, amicizie e conoscenze) e quelli formali (frequenti a scuola, a lavoro e più in generale con gli sconosciuti). A differenza di altre culture, è comunque bene ricordare che il saluto casuale agli sconosciuti per strada non è socialmente ritenuto consono, ci si dovrebbe limitare ad utilizzarlo quando la conversazione è invece strettamente necessaria. I saluti più comuni sono ohayō gozaimasu (おはようございます) che significa "buongiorno" e si usa circa fino alle 11:00 del mattino. Se è la prima volta in quel giorno che le due persone si incontrano, si impiega la parola: konnichiwa (こんにちは) , che ha il significato di "buona giornata" oppure "buon pomeriggio". Konbanwa (今晩は) vuol dire invece "buona sera".[15]
Nel Giappone odierno vista la vasta diffusione di sedie e tavoli in stile occidentali è sempre meno necessario, eppure sedersi in maniera consona secondo lo stile tradizionale è una vera e propria arte ancora molto in voga. Tale stile prende il nome di Seiza (正座), che significa appunto "sedersi correttamente". In questa posizione il ginocchio sinistro deve essere posato a terra per primo, seguito dal destro e dai glutei, che infine appoggiano sui talloni; tuttavia ci sono delle sottili differenze di stile tra maschi e femmine. In occidente tale posizione si è diffusa principalmente tramite le arti marziali giapponesi, ma nel luogo d'origine ha molti altri utilizzi. L’abitudine di sedersi a terra ha senza dubbio radici molto lontane e ben radicate nella cultura giapponese, sin da quando veniva adoperata durante rituali e cerimonie religiose. Non è tuttavia l'unica posa di seduta tradizionale, benché ne sia probabilmente la più diffusa e senz'altro la più decorosa secondo l'etichetta. Inoltre in base alla stringente gerarchia vigente nella società nipponica, l'individuo di rango più elevato deve prendere posto presso il kamiza (上座), nonché il luogo più sicuro e confortevole della stanza; mentre colui che occupa il posto più basso nella gerarchia deve invece andare a occupare lo shimoza (下座 ), che in genere è il posto più vicino all’entrata. Nelle stanze in stile tradizionale che possiedono un'alcova, l'ospite d'onore dovrebbe sedersi di fronte ad essa volgendole la schiena. Poiché è una posizione che solitamente gli stranieri fanno fatica a tenere a lungo, nelle situazioni sociali in cui è richiesta, non ci si aspetta necessariamente che anch'essi la emulino, possono anche esimersi assumendo invece una più semplice posizione a gambe incrociate detta agura (胡坐).[16]