Giancarlo Sbragia (Roma, 14 marzo 1926 – Roma, 28 giugno 1994) è stato un attore, regista teatrale e drammaturgo italiano.
Figlio di Virginio e Margherita Spaziani, dopo il liceo classico si iscrisse nel 1944 all'Accademia nazionale d'arte drammatica, dove ebbe quali compagni di corso Tino Buazzelli, Nino Manfredi, Luciano Salce, Marina Bonfigli. Terminata l'Accademia nel 1947, venne scritturato dal Piccolo Teatro di Milano, dove fin dall'inizio ricoprì ruoli di primo piano.
Durante la sua lunga carriera lavorò con i protagonisti del teatro italiano del Novecento e con grandi nomi della cultura, quali Eduardo De Filippo, Luchino Visconti, Giorgio Strehler, Renzo Ricci, Michelangelo Antonioni, Gino Cervi, Guido Salvini, Enrico Maria Salerno e Federico Fellini, cimentandosi con altrettanta bravura tanto nei classici quanto in lavori moderni.
Sbragia si dedicò con successo anche alla regia teatrale, nella quale debuttò dirigendo e interpretando la prima edizione italiana di Ricorda con rabbia del drammaturgo inglese John Osborne (stagione 1957-58). Oltre ad aver spaziato in ogni genere di testo – dalle commedie e tragedie antiche ai drammi contemporanei – fu lui stesso autore: infatti scrisse e portò in scena alcune opere, come Le veglie inutili, Quarta era (con Gian Domenico Giagni, dal libro-inchiesta Gli apprendisti stregoni di Robert Jungk) sulla prima bomba atomica, Le confessioni della signora Elvira (con Mino Roli), Il fattaccio del giugno, che rievoca l'assassinio di Giacomo Matteotti, Musica e lazzi dalla commedia dell'arte (con Cesare Brero).
Fu sposato con Esmeralda Ruspoli, conosciuta sul palcoscenico nei primi anni cinquanta, e dalla quale ebbe tre figli: Viola, Ottavio (musicista) e Mattia, che ha proseguito l'attività dei genitori diventando a sua volta attore.
Giancarlo Sbragia sposò poi in seconde nozze l'attrice Alessandra Panaro, con la quale nel 1993 rimase coinvolto in uno degli attentati dinamitardi compiuti da Cosa Nostra contro il patrimonio artistico nazionale: a Roma la coppia abitava infatti davanti alla chiesa di San Giorgio in Velabro, che alla mezzanotte del 27 luglio fu gravemente danneggiata da un'auto-bomba. I due, al momento dell'esplosione, erano in casa con le finestre aperte, e questo li salvò perché l'onda d'urto in pratica attraversò il loro appartamento, con danni alle cose, ma non agli occupanti.[1]
In quasi cinquant'anni di carriera, fece parte delle principali compagnie italiane, pubbliche e private, fondandone lui stesso e divenendo uno dei più significativi attori della sua generazione, «dotato di uno stile di asciutta modernità »:[2] dal Piccolo Teatro di Milano diretto da Strehler (dove esordì e tornò più volte) al Piccolo Teatro di Roma con Orazio Costa, dalla compagnia drammatica Nazionale con Guido Salvini alla compagnia Pagnani-Cervi; lavorò poi nella compagnia Italiana delle Tre Venezie, quindi con Renzo Ricci e Margherita Bagni, ottenendo il nome in ditta, e collaborò con Michelangelo Antonioni, nelle breve parentesi teatrale vissuta dal regista ferrarese, dando vita alla compagnia Antonioni-Sbragia-Vitti.
La svolta arriva nel 1960, quando fondò insieme a Ivo Garrani e a Enrico Maria Salerno la compagnia "Attori Associati", che proponeva un teatro di ricerca dai forti connotati sociali, impegnato e critico verso la realtà contemporanea, mettendo in scena i primi esempi di teatro-cronaca in Italia; tornò poi per alcune stagioni al Piccolo di Milano, quindi nel 1969 rifondò "Gli Associati", questa volta con l'innovativa formula della cooperativa («organismo di produzione teatrale»):[3] ancora con Garrani ma anche nuovi compagni d'avventura, attori come Sergio Fantoni e Valentina Fortunato, il regista Virginio Puecher, lo scenografo Gianni Polidori, l'organizzatore Fulvio Fo (fratello di Dario e proveniente dal Piccolo Teatro di Milano), il capo-tecnico Nunzio Meschieri.
Durerà sino alla fine degli anni Settanta, arricchendosi di adesioni (Valeria Ciangottini, Renzo Giovampietro, Paola Mannoni, Luigi Vannucchi, Mattia Sbragia) al punto da avere, dal 1972, due compagnie. Oltre che attore e regista, Sbragia ne fu anche direttore artistico. Sono di quegli anni alcuni spettacoli memorabili come Caligola, Edipo re, i suoi personali adattamenti di Strano interludio, Piccola città e I demoni; Il commedione di Giuseppe Gioacchino Belli di Diego Fabbri.
Sullo scioglimento degli Associati dichiarò poi: « Semplicemente hanno fatto il loro tempo e non sarebbe sensato ripetere oggi un'esperienza che si è esaurita perché legata a determinate circostanze, anche umane, ora cambiate.».[4]
Oltre che attore, regista, traduttore e adattatore di testi, scrisse anche le musiche di alcuni allestimenti (fra gli altri Otello, Caligola, Strano interludio, La morte di Danton, La bella addormentata) essendo fin da giovane un valido pianista, come ricordava ancora 60 anni dopo la sua compagna di Accademia Rossella Falk.[5]
Come già il teatro, Sbragia affrontò la televisione a tutto campo: oltre che attore fu presentatore di programmi e rubriche settimanali, come L'approdo e Concerto di prosa. Ne Promessi sposi (1967) di Sandro Bolchi fu il narratore, che introduceva ogni puntata e riassumeva le precedenti; comparve anche, come molti suoi colleghi, in qualche pubblicità.
L'8 settembre 1978, sulla Rete 1, fu protagonista in diretta di un toccante episodio: la Rai l'aveva invitato a presentare la messa in onda del suo spettacolo Il vizio assurdo, di Diego Fabbri e Davide Lajolo, il cui protagonista, Cesare Pavese, era interpretato da Luigi Vannucchi, attore che s'era tolto la vita appena dieci giorni prima (la registrazione risaliva al gennaio 1977); ma Sbragia dopo alcune parole sul lavoro e sul collega suicida fu preso dalla commozione, e s'interruppe senza più riuscire a continuare.[6]
Nel 1988 la Rai mandò in onda una lettura integrale della Divina Commedia, affidata a Sbragia (Purgatorio), Enrico Maria Salerno (Paradiso) e Giorgio Albertazzi (Inferno), l'unica realizzata nella storia della televisione italiana.
Sbragia fu molto attivo anche alla radio, sia come componente della compagnia di Prosa di Roma della Rai (Il barbiere di Siviglia di Beaumarchais, I giusti di Camus), sia conducendo programmi culturali di vario genere e firmando adattamenti - come Il giorno della civetta di Leonardo Sciascia nel 1967 - e regie, come un'edizione di Altri tempi di Pinter, con Fantoni, la Fortunato e Valeria Valeri, trasmessa dalla Rai nel 1972.
Di minor rilievo l'attività cinematografica, nonostante appaia in oltre venti lungometraggi – alcuni diretti da registi di valore come Vittorio Cottafavi e Liliana Cavani, Yves Boisset e Giuseppe Bertolucci – e come narratore in due documentari. Anche sul grande schermo comunque attraversò tutti i generi, dal mitologico al poliziottesco, dal film storico al thriller psicologico.
Fu inoltre doppiatore: si può sentire la sua voce in film come I sequestrati di Altona (Maximilian Schell), L'esorcista (Max von Sydow), Macbeth di Roman Polański (Jon Finch) e Acque amare (Narciso Parigi), mentre Fellini lo volle per doppiare il personaggio del maestro Albertini in E la nave va.
Sbragia fu attivo in campo sindacale e politico: agli inizi della televisione italiana coordinò infatti il primo sciopero della categoria (la Rai non riconosceva agli attori compensi per le trasmissioni replicate), esperienza da cui nacque il primo sindacato del settore: la Società Attori Italiani (S.A.I.) in seguito Sindacato attori italiani, fondata insieme a Gino Cervi, Marcello Mastroianni, Nino Manfredi, Enrico Maria Salerno e Arnoldo Foà.
Sul fronte politico, fu consigliere comunale a Roma dal 1976 al 1981, eletto nelle liste del Partito Comunista Italiano.
La sua commedia in un atto Le veglie inutili, del 1953,[7] fu premiata con il premio "Borletti".
Con Sacco e Vanzetti ricevette il premio IDI stagione 1960-1961 per la regia.[8]
Il 19 luglio 1994 a Pescara la ventunesima edizione del "Flaiano" gli conferì postumo il premio alla carriera: lo ritirarono la moglie Alessandra Panaro e il figlio Mattia.
«Attore serio, sobrio, duttile – scrive Roberto Chiti nel Dizionario del cinema italiano[9] - si cimenta in tutte le discipline dello spettacolo, dalla regia lirica al doppiaggio, dall'attività radiofonica a quella di scrittore teatrale».
Nella voce a lui dedicata nel Dizionario del cinema italiano 1945-1969,[10] Gianni Rondolino scrisse che s'era affermato «tra i migliori attori della nuova generazione», un attore dallo stile recitativo «sobriamente analitico, del tutto privo di tratti istrionici» secondo Giovanni Raboni, che scrivendo della sua prematura morte definiva Sbragia «di una vitalità artistica infaticabile» e ne sottolineava la «presenza senza soste e senza cedimenti nella storia teatrale dell'ultimo mezzo secolo. »[11]A perfezionare il suo stile misurato ed estremamente sobrio, la sua tecnica schiva, contribuì soprattutto l'incontro con Orazio Costa.
Sempre riguardo alle sue doti recitative, la Enciclopedia della televisione curata da Aldo Grasso[12] scrive che «si impose come attore colto e raffinato, capace di approfondimenti drammatici, di cui diede prova anche sul piccolo schermo».
Quanto alla sua attività registica, la "garzantina" dello spettacolo[13] lo descrive in questo modo: «creatore di apparati scenici di secchezza e geometria suggestive, si è affermato come regista attento alle chiarificazioni logiche e alla rigorosità dialettica, mentre come interprete, già segnalatosi per la modernità espressiva, ha maturato singolari e convincenti qualità di penetrazione dei personaggi».
Con riferimento invece ai suoi testi, così lo inquadra Enrico Bernard in Autori e drammaturgie: «Attore tra i più geniali e coraggiosi nel portare alla scena testi non solo di repertorio tradizionale, si è sempre covato dentro il tarlo della scrittura e della drammaturgia di impegno. Il suo è un teatro “che assume la responsabilità (Sandro Bajini), senza schemi di comodo e senza metafore, di richiamare la sensibilità dello spettatore sulle proprie posizioni di cittadino, partecipando a un travaglio di idee e di azioni, responsabile anch'egli delle scelte e delle decisioni che muovono la società. A questo tipo di teatro conviene la definizione di ‘civile’ più che di ‘politico’ in quanto non ha affatto intenzioni provocatorie di parte ma semplicemente di far riflettere criticamente sulle cose”. »[14]
All'indomani della morte, il critico teatrale di Repubblica Ugo Volli scrisse parole di grande elogio per l'artista e per l'uomo: « è stato un protagonista fuori dall'ordinario del teatro italiano dell'ultimo mezzo secolo. Al di là del suo grandissimo talento, di una cultura notevole, di una instancabile curiosità intellettuale, e di una personalità forte, che straripava sia in palcoscenico che in privato da una curatissima correttezza formale, da gentiluomo di un tempo, Sbragia si è caratterizzato per la sua vocazione ad essere artista di teatro completo, al di là delle specializzazioni della scena contemporanea».[15]
Lo stesso giorno, in un altro articolo, il quotidiano romano attribuiva a Sbragia un «carattere solidale cui non venne mai meno» e lo descriveva «capace di alternare finezze letterarie, slanci politici, mediazioni popolari, drammaturgie sul campo e anche un rispetto (quantunque problematico e aggiornato) per i miti classici. [...] Era intransigente, pragmatico, versatile, e all'occasione sapeva mostrarsi generosamente polemico. Un artista come lui occupa un posto di rilievo nella storia del teatro del nostro dopoguerra quantomeno per essere stato a lungo fautore, con la compagnia degli Attori Associati, di un cartello di uomini e di idee in un mondo, quello della prosa, che indulge da sempre a separatismi e clamori. Sapeva scrivere o elaborare con facilità per la scena. (..) Un vero artista organico (…) impegnatissimo nel sociale, che ammirammo per la forza d'animo e per la rigorosa linea di qualità in avventure con attori corresponsabilizzati (e non 'in ditta' divisticamente)».[16]
Sbragia donò il proprio enorme archivio al comune di Roma, affinché diventasse patrimonio di tutti e da tutti consultabile. Tale fondo è oggi la Biblioteca dello spettacolo "Giancarlo Sbragia", nella "Casa dei Teatri", ospitata nel Villino Corsini di Villa Doria Pamphilj.
Inoltre il comune di Roma, nel 2003, ha intitolato a lui e al suo amico e collega Enrico Maria Salerno un parco sulla via Cristoforo Colombo, nel Municipio VIII (ex XI): inaugurato dall'allora sindaco Veltroni, ha l'accesso principale da piazza Silvio D'Amico, il loro maestro all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica - entrando, la parte destra della grande area verde (delimitata dalle vie Ruzzante e Oropa) è dedicata a Sbragia, la parte sinistra (vie Tiberio Imperatore e Varaldo) a Salerno.[17]
Un'iniziativa che perpetua, associandolo, il ricordo di due attori a lungo compagni di lavoro e accomunati anche dalla circostanza di esser morti nello stesso anno (1994), a pochi mesi di distanza, come nello stesso anno (1926) erano nati, a pochi mesi di distanza.
Alla fine degli anni cinquanta, all'età di circa trent'anni, Sbragia decise di sperimentare il sonno polifasico, seguendo le orme di Leonardo da Vinci. Il fine di Sbragia era quello di aumentare la sua produttività e poter avere quindi più tempo per dedicarsi ai suoi vari interessi, fra cui rientravano pittura e musica. Questo schema di sonno consisteva nel fare pisolini di 15 minuti ogni 4 ore.[18] Come racconta Sbragia, ci vollero circa 3 settimane per abituarsi al sonno polifasico. L'esperimentò durò circa 6 mesi. Durante tale periodo, Sbragia affermò di essere riuscito perfettamente ad abituarsi al sonno polifasico, nonostante le difficoltà iniziali, e di avere ovviamente avuto più tempo per sé stesso, i suoi hobby e la sua carriera. Tuttavia, anche se disse di non aver mai riscontrato alcun tipo di problema fisico, decise di tornare allo schema del sonno monofasico per la forte solitudine provata mentre tutti intorno a lui dormivano. Sbragia comprese anche che come artista aveva bisogno di poter beneficiare della fase onirica, ossia dei sogni che normalmente si fanno durante un periodo di sonno più continuativo, e che quindi erano venuti a mancare durante lo schema del sonno polifasico.
Nel 1973 Giancarlo Sbragia partecipò a una serie degli sketch della rubrica pubblicitaria televisiva Carosello pubblicizzando il detersivo per lavatrici Dixan della Henkel.
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