Giovanni Battista Rosa, noto come Giovanni Titta Rosa (Santa Maria del Ponte, 5 marzo 1891 – Milano, 7 gennaio 1972), è stato uno scrittore e critico letterario italiano. Fu una figura di grande rilievo nel panorama letterario italiano del Novecento.
Nacque a Santa Maria del Ponte (allora frazione di Fontecchio, oggi nel territorio di Tione degli Abruzzi) il 5 marzo 1891 dove cresce insieme ai suoi 6 fratelli e sorelle, avendone persa una in tenerissima età, a cui si aggiungeranno altri tre fratelli avuti dal padre in seconde nozze. Saggista, narratore, giornalista, poeta, critico d'arte e letterario, si espresse in un copioso e fortunato lavoro editoriale. Le sue opere letterarie più conosciute sono: Sole di Lombardia, I lumi a Milano, Aria di casa Manzoni e Il nostro Manzoni. Collaborò a quotidiani - Il Corriere della Sera, La Stampa, Corriere Lombardo, Corriere Padano[1] - e riviste – Lacerba, La Riviera Ligure, Corrente, Solaria, Dimensioni – dove esercitò la sua critica letteraria che si svolge nell'alveo crociano. Fu autore di poesie, raccolte in Poesie di una vita, e di prose di lieve lirismo, come Il varco nel muro e Niobe e il pittore. Fu autore di commenti dei Promessi sposi e delle liriche manzoniane. Fu giurato nei premi letterari "Viareggio", "Bagutta" e "Lerici", e diresse per diversi anni L'Illustrazione italiana e l'Osservatore Politico Letterario. Racconterà di sé in maniera quasi esaustiva, alla soglia dei settant’anni: «Sono nato in un paesello d’Abruzzo, un paese degli antichi Vestini, nella vallata dell’Aterno, prima che il fiume raggiunga la “chiusa” di Rajano, un nodo che lega le ultime balze del Sirente, a est, con i contrafforti collinosi e boscosi del Gran Sasso, digradanti verso la piana di Sulmona». Partecipa attivamente fin da liceale alla vita letteraria della città dell’Aquila, animata all’inizio del secolo da un importante fermento, che vede protagonisti nell’arco di due decenni personaggi come Ettore Moschino, Massimo Lelj, Nicola Moscardelli, Edoardo Scarfoglio (nato nello stesso quartiere di Giacchino Volpe, nella frazione di Paganica) e la moglie Matilde Serao, Pasquale Scarpitti, Silvio Spaventa. Dopo gli studi liceali all’Aquila lo scrittore si sposta a Firenze, avviandosi fin da subito a diventare animatore polemico della vita letteraria del tempo, di ogni tempo in realtà, attraversato dalla sua penna. Dopo la guerra è a Milano che diventa la sua patria d’adozione e in cui si afferma come protagonista della vista culturale e artistica del Capoluogo lombardo. Nel 1931 vince il premio Bagutta con il libro Il varco nel muro, soffiandolo all’amico Cesare Zavattini ,mentre continua lo studio dell’opera manzoniana, del quale diventa uno dei maggiori critici, curando più di trenta pubblicazioni de I promessi sposi, oltre a dedicare diversi libri all’opera dello scrittore milanese. La produzione letteraria di Titta Rosa ha dimensioni complessive enormi, per numero di articoli, romanzi, curatele, prefazioni e introduzioni, traduce perfino dall’inglese Samuel Butler, lavorando fino ai suoi ultimi giorni con instancabile ed entusiasta volontà. Il sette gennaio 1972, a seguito delle complicazioni di una malattia reumatica, muore nella sua casa di Milano in via della Spiga n.3, ne danno l’annuncio i maggiori quotidiani nazionali, tra tutti La Stampa e L’Avanti che lo ha visto per anni tra i suoi autori. Carlo Bo sulla terza pagina del Corriere gli dedica un ricordo commosso. Ai funerali nella Basilica di San Babila, tra i suoi cari, gli intellettuali e gli scrittori italiani e i protagonisti della politica, spicca una figura familiare, la moglie del suo dirimpettaio nella memoria della valle dell’Aterno, Massimo Lelj. Viene inumato nel cimitero di Milano, successivamente, il 27 maggio 1982 tornerà nella cappella di famiglia a Santa Maria del Ponte, oggi frazione del Comune di Tione degli Abruzzi. Morì a Milano il 7 gennaio 1972.
"Sul non capito impianti una critica di principiante nemico, vecchio male invecchiato, che non capisci ciò che dico".
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