Il colosso di Marussi | |
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Titolo originale | The Colossus of Maroussi |
Autore | Henry Miller |
1ª ed. originale | 1941 |
1ª ed. italiana | 2000 |
Genere | diario di viaggio |
Lingua originale | inglese |
Ambientazione | Grecia, 1939 |
Il colosso di Marussi è un diario di viaggio di stile impressionista scritto da Henry Miller. Pubblicato nel 1941 dalla Colt Press di San Francisco, è ambientato nella Grecia anteguerra del 1939; trasparente rappresentazione del "Colosso" del titolo è Giorgos Katsimbalis, poeta e raccontatore. L'opera è spesso citata come la migliore di Miller.
Nel 1939, Henry Miller lasciò Parigi, sua dimora per nove anni, non appena gli eventi della Seconda Guerra Mondiale iniziarono a precipitare. Senza un soldo in cerca di rinnovamento, si recò in Grecia su invito del suo amico e scrittore Lawrence Durrell, che viveva a Corfu. Miller aveva già trovato il suo stile durante gli anni da espatriato in Francia e aveva già pubblicato alcuni tra i suoi libri più famosi, tra cui Tropico del cancro, Primavera nera e Tropico del Capricorno.[1] L'opera trae ispirazione dalle esperienze vissute dall'autore durante i nove mesi di soggiorno in Grecia. Il giudizio di Miller è influenzato dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, che alla fine lo costringerà a ritornare in America nel dicembre del 1939.[2] Il libro, scritto a New York, è quindi influenzato dal risentimento per il fatto di essere dovuto ritornare in patria e dalla conseguente sensazione d'isolamento.[2]
Miller viaggia ad Atene, Creta, Corfù, Poros e Delfi.
Il testo presenta un ritratto dello scrittore greco Giorgos Katsimbalis (il "Colosso" del titolo), anche se alcuni critici hanno ipotizzato che il Colosso sia un autoritratto di Miller.[3]
Nell'opera si nota l'influenza di D. H. Lawrence e di Ernest Hemingway.[1]
Nel 1971, dalle carte lasciate dal poeta Giorgos Seferis, è emerso lo smilzo taccuino del viaggio in Grecia del 1939 steso da Miller, trasfuso poi nel Colosso. In Italia è stato pubblicato solo nel 2007 col titolo Prime impressioni della Grecia.
L'opera è considerata la migliore di Miller dai critici, un parere peraltro condiviso dall'autore stesso.[2][4][5][6] Pico Iyer descrive la novella come "un'estatica passeggiata".[7] Will Self dipinge il Miller del racconto come "un'inarrestabile favolista che innalza il solipsismo allo stato di arte."[8]