Il termine ontico, che deriva dal greco ὄντος (òntos), genitivo singolare del participio presente ὤν di εἶναι (eînai), il verbo essere, in filosofia si riferisce all'esistenza particolare dell'oggetto «in ciò che è per come è».[1]
Nell'opera Essere e tempo[2] Martin Heidegger (1889-1976) introduce la radicale distinzione tra ontico (tutto ciò che concerne le singole cose in quanto sono ovvero gli enti) e ontologico (ogni discorso inerente all'essere in sé, al tutto).
Ad esempio la filosofia kantiana può essere considerata una dottrina ontica in quanto specula sugli oggetti, sui problemi interni al mondo e quindi da questo punto di vista è opposta a una concezione ontologica che si pone il problema dell'origine del mondo, sull'essere stesso del mondo.[3] È in questo senso che Heidegger sostiene di voler opporsi e completare la dottrina kantiana.[4]
Secondo Heidegger vi è un primato ontologico del problema dell'essere poiché tale questione precede ogni altra che l'uomo si ponga; primato ontico è invece il fatto che l'esistente umano, per comprendere l'essere, deve comprendere sé stesso in quanto esserci, in quanto ente privilegiato capace di interrogarsi sull'essere; ente privilegiato cui l'essere, cioè, si manifesta. Se la caratteristica esistenziale dell'esistente umano (dell'Esserci) è quella di rivolgersi a sé stesso, al proprio essere, questo modo di comportarsi - di essere - non possiamo che chiamarlo esistenza. «L'esserci comprende sempre sé stesso in base alla sua esistenza, cioè alla possibilità che gli è propria di essere o non essere sé stesso».[5]