Sbatti il mostro in prima pagina | |
---|---|
La notizia in prima pagina | |
Paese di produzione | Italia, Francia |
Anno | 1972 |
Durata | 83 min |
Rapporto | 1,85:1 |
Genere | drammatico, poliziesco |
Regia | Marco Bellocchio |
Soggetto | Sergio Donati |
Sceneggiatura | Sergio Donati, Goffredo Fofi |
Produttore | Ugo Tucci |
Produttore esecutivo | Claudio Mancini |
Casa di produzione | Jupiter Generale Cinematografica, UTI Produzioni Associate, Labrador Films |
Distribuzione in italiano | Euro Internationl Film |
Fotografia | Luigi Kuveiller, Erico Menczer |
Montaggio | Ruggero Mastroianni |
Musiche | Nicola Piovani |
Scenografia | Dante Ferretti |
Costumi | Franco Carretti |
Trucco | Pier Antonio Mecacci |
Interpreti e personaggi | |
| |
Doppiatori originali | |
| |
Il titolo di testa |
Sbatti il mostro in prima pagina è un film del 1972 diretto da Marco Bellocchio ed interpretato da Gian Maria Volonté. Il film mette in evidenza gli stretti legami fra stampa, politica e forze dell'ordine, raccontando come un importante giornale possa manipolare l'informazione pubblica e lo svolgersi delle stesse vicende, per cercare di indurre una precisa reazione nell'elettorato.
La storia dell'omicidio della studentessa ricorda una vicenda che occupò realmente per mesi le prime pagine dei giornali dell'epoca. Si tratta del caso di Milena Sutter, studentessa modello appartenente ad una famiglia della buona società genovese, che fu uccisa in circostanze simili a quelle narrate dal film. Il colpevole arrestato per il delitto, Lorenzo Bozano, venne poi definito «il biondino dalla spider rossa».
Milano. Nel clima teso della contrapposizione politica degli anni di piombo, nella redazione del quotidiano borghese e di destra Il Giornale[1], il redattore capo Bizanti, su invito della proprietà, segue gli sviluppi di un omicidio a sfondo sessuale di cui è rimasta vittima una studentessa, allo scopo di incastrare un militante della sinistra extraparlamentare e strumentalizzare politicamente la vicenda.
La campagna mediatica sortisce l'effetto sperato e il "mostro" viene condannato innanzitutto sulle prime pagine del giornale. La condanna, in primis morale, aiuta l'area reazionaria a screditare gli ambienti della sinistra nella fase elettorale. Alla fine, Bizanti viene informato dal giovane giornalista Roveda che il vero colpevole è un'altra persona, ossia il bidello della scuola frequentata dalla vittima.
Bizanti minaccia quindi l'assassino, inducendolo a non rivelare niente alle forze dell'ordine. In una discussione conclusiva con l'ingegner Montelli, un industriale finanziatore del giornale, i due concordano di tenere segreta la vicenda fino a quando si conoscerà l'esito delle elezioni, per poi deciderne l'eventuale utilizzo.
Il progetto originale vedeva alla regia Sergio Donati, autore del soggetto e - assieme al critico Goffredo Fofi - della sceneggiatura, che vi rinunciò per dissidi con Volonté.[2]
Il film fu girato nella primavera del 1972 a Milano. Per la sede del quotidiano fu utilizzata la sezione milanese de l'Unità.
Fu distribuito nelle sale italiane il 19 ottobre 1972.
In occasione del suo ritorno[3] in sala il 4 luglio 2024, il critico Tonino De Pace su Sentieri Selvaggi lo inquadra temporalmente notando che "Sbatti il mostro in prima pagina, nonostante gli anni, costituisce un’utile riflessione sull’utilizzo della stampa in rapporto ad ogni reale o presunta verità"[4].
«Questo film, che Bellocchio ha ereditato da un altro regista, fa pensare ad un affresco soltanto in piccola parte dipinto e per il resto appena abbozzato […]. Gian Maria Volonté, nella parte improbabile del direttore del giornale riesce tuttavia a creare un personaggio molto vivo, insieme corrotto e conscio della propria corruzione.»
«La manipolazione della notizia da parte della grande stampa d'informazione è stigmatizzata quale offesa grave alla verità e al diritto dei cittadini all'autenticità dell'informazione. Situando però i responsabili di tale ignominia in un preciso contesto sociopolitico, il film mira anche a dimostrare che il malcostume giornalistico ha una sola paternità. Un pronunciamento del genere, proprio in forza della sua erezione a principio di condanna, si infrange equivocamente contro il tema base avverso alla manipolazione delle notizie, poiché diviene a sua volta una comunicazione al pubblico di realtà etiche sì obiettive, ma distorte per intenti di parte.»
«Cupo melodramma social-politico del fantasioso Marco Bellocchio che costruisce un'assurda, ma senza dubbio avvincente, storiaccia tra cronaca nera e poliziesco. I padroni, ecco i veri mostri, è la rabbiosa morale. Un'avvertenza, il film è del 1972, 'il Giornale', quello vero, è nato nel '74. Stavolta la sarcastica dicitura finale (ogni riferimento è puramente causale) non mente.»