Selenizza comune | |
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(SQ) Selenicë | |
Localizzazione | |
Stato | Albania |
Prefettura | Valona |
Territorio | |
Coordinate | 40°32′N 19°38′E |
Altitudine | 60 e 73 m s.l.m. |
Superficie | 561,52 km² |
Abitanti | 16 396[2] (cens. 2011) |
Densità | 29,2 ab./km² |
Altre informazioni | |
Lingue | albanese |
Cod. postale | 9427[1] |
Prefisso | 0392 |
Fuso orario | UTC+1 |
Targa | VL |
Cartografia | |
Selenizza[3][4] (Selenicë in albanese), è un comune albanese situato nella prefettura di Valona, al centro dell'omonimo bacino minerario di asfalto.
In seguito alla riforma amministrativa del 2015 sono stati accorpati a Selenizza gli ex-comuni di Armen, Brataj, Kotë, Sevaster e Vllahinë, portando la popolazione complessiva a 16 396 abitanti (dati censimento 2011).
L'esistenza di questo bacino è noto fin dall'antichità essendo stato citato dallo scrittore e naturalista romano Plinio. I primi a sfruttare il giacimento di asfalto furono i Turchi che dominavano l'Albania, a mezzo di una società franco-ottomana sulla fine del XIX secolo. Durante la prima guerra mondiale, il territorio venne occupato dal corpo di spedizione italiano e l'Ufficio tecnico della Marina Italiana invitò l'industria italiana ad intervenire per lo sfruttamento del giacimento.
Venne così costituita la Società delle Miniere di Selenizza, la quale - dotata di notevole capitale - costruì una decauville di oltre 30 km per unire le miniere al porto di Valona, ristrutturò ed ampliò le gallerie di scavo e costruì a Valona uno stabilimento per la lavorazione dell'asfalto per la produzione di oli minerali.
Dal 1920 al 1943 la concessione fu gestita dalla Simsa di Leopoldo Parodi Delfino arrivando a una produzione di 20000 tonnellate annue di bitume.[5]
Nel 1939, ultimo anno prima della guerra, la produzione di asfalto raggiunse le 15.000 tonnellate con relativa produzione di oli minerali speciali lubrificanti per i quali allora l'industria italiana era fortemente tributaria dei mercati esteri. L'attività cessò nel 1943 con l'occupazione tedesca dell'Albania. A partire dal 1939 la società Selenizza ottenne la concessione dello sfruttamento delle miniere di calcopirite di Albania, nella zona dello scutarino. La produzione veniva avviata a Porto Marghera dove veniva decuprata e quindi adibita alla produzione di acido solforico. Le ceneri che ne risultavano erano poi utilizzate in siderurgia al posto del minerale di ferro.
Il 31 marzo 1943, presso Selenizza, una colonna italiana formata da 122 carabinieri e alcuni soldati, comandata dal tenente colonnello Giuseppino Ricci fu attaccata da oltre ottocento Partigiani albanesi. I carabinieri, dopo essere stati disarmati furono immediatamente passati[6] per le armi mentre tre ufficiali italiani furono tratti in prigionia come ostaggi, lo stesso Ricci, il capitano Raffaele e un graduato albanese. I due militari italiani furono in seguito fucilati nel giugno dello stesso anno presso Corushi[6]. Ci sono discordanze nel raccontare la dinamica del caso. Altri testimoni raccontano che i Carabinieri Italiani, considerati truppe di occupazione, furono circondati e uccisi in battaglia da Ribelli Albanesi non inquadrati nelle truppe regolari di contrasto all'occupazione fascista. I soldati italiani della colonna furono risparmiati. Questi furono le Conclusioni dell'Inchiesta aperta dalla Procura di Bari nell'anno 1993. I corpi dei carabinieri uccisi furono rintracciati solamente nel 1993 all'interno della "grotta del pipistrello", in cui erano stati gettati dopo essere stati depredati e spogliati delle divise, grazie alla testimonianza di Zefat Drizari, un anziano albanese del luogo[7]. All'interno della grotta furono recuperati solo 22 corpi di cui solo uno identificato grazie alla piastrina [7].