I Vestini ([ves'tini][1]; in latino "Vestīni") erano un popolo italico di lingua osco-umbra, stanziato in una vasta zona che dall'Altopiano delle Rocche e la valle dell'Aterno si estendeva sino al mare Adriatico all'altezza di Penne, includendo Città Sant'Angelo e Pescara[2], di cui controllavano il porto. Entrati in conflitto con la Repubblica romana alla fine del IV secolo a.C., presto furono indotti dall'evidente supremazia dell'Esercito Romano a unirsi in alleanza con Roma, accettando una condizione di chiara subordinazione. Conservarono a lungo un certo margine di autonomia interna fino a quando, nel I secolo a.C., l'estensione a tutti gli Italici della cittadinanza romana, decisa in seguito alla Guerra Sociale alla quale avevano preso parte anche i Vestini, accelerò il processo di romanizzazione del popolo, che fu progressivamente inquadrato nelle strutture politico-amministrative di Roma.
Il nome "Vestini" è certamente derivato da quello di una divinità; due sono tuttavia le ipotesi sull'identificazione concreta di tale dio. Può infatti trattarsi tanto di Vesta, dea del focolare e della casa molto venerata dalle popolazioni italiche e anche dai Romani, quanto del dio umbro Vestico[3], il "dio-libagione"[4].
Secondo alcuni il nome Vestini sarebbe formato dalle voci simili al celtico "Ves" che significa fiume o acqua e da "Tin" che significa paese indicando in tal modo un "paese delle acque", visto che il territorio occupato dai Vestini era particolarmente ricco di corsi d'acqua e sorgenti[4][5].
Genti osco-umbre penetrarono in Italia nella seconda metà del II millennio a.C., probabilmente intorno al XII secolo a.C.[6]. Non è noto il momento esatto in cui genti di lingua osco-umbra si stabilirono nell'area dell'alto-medio Aterno; il gruppo che sarebbe emerso storicamente come Vestini raggiunse la regione, secondo recenti studi archeologici[senza fonte], provenendo dalla Sabina. Due le possibili vie percorse dalla penetrazione italica: una, meno agevole ma più prossima alle tradizioni tramandate dalla storiografia antica, procedeva dalla conca di Rieti; l'altra, meno attestata ma più facile, si snodava attraverso il bacino della Nera, più a nord[3]. In seguito a una migrazione, i Vestini si sarebbero poi spinti fino alla piana di Navelli, nel versante occidentale del Gran Sasso[senza fonte]. Tra l'XI e l'VIII secolo a.C. sorsero i primi stanziamenti vestini nella valle dell'Aterno[senza fonte]; al loro apparire alla luce della storia i Vestini risultano contornare il Gran Sasso e spingersi inoltre verso il mare, che raggiungevano all'altezza di Penne[3] e del fiume Saline.
L'idea di una migrazione di un popolo di nome Vestini in Abruzzo non è più accettata. Oggi sappiamo che il processo di definizione della etnicità è molto più complicato e spesso non visibile né attraverso le fonti storiche né nelle testimonianze archeologiche. Archeologicamente, a partire dal V secolo a.C., si manifesta una certa uniformità nei riti funebri tra il territorio centro-appenninico e la zona adriatica. Tuttavia prima del IV secolo a.C. non esistono fonti storiche che permettono di identificare i popoli protostorici nell'Abruzzo nord-ovest come Vestini. Per non abbandonare completamente il concetto di ethnos si usa oggi a volte il non meno problematico nome "Proto-Vestini". (cfr. D'Ercole 1999; Tagliamonte 2008)
Il territorio dei Vestini risultava diviso in due nuclei geograficamente distinti e separati dalla catena montuosa del Gran Sasso: quello dei Vestini Cismontani, che comprendeva i territori dell'Altopiano di Navelli, della Valle del Tirino e parte della Conca aquilana, era separato dal territorio dei Peligni dai monti Sirente e Ocre e da quello dei Sabini dai monti di Bagno, mentre quello dei Vestini Transmontani, che comprendeva gran parte della provincia di Pescara (tranne i territori a sud dell'omonimo fiume).[7]
- nel territorio dei Vestini Transmontani, ancora noto come area Vestina, erano situate Pinna (l'attuale Penne), la capitale dei Vestini adriatici, nonché Cutina e Cingilia (ricollegabili all'attuale territorio di Catignano e Civitella Casanova come emerge dalle fonti dello storico Tito Livio[senza fonte]). Maggiori dubbi sussistono invece in ordine all'origine vestina di Angulum, che dovrebbe corrispondere alle odierne Città Sant'Angelo o Spoltore, mentre è certo il controllo dei Vestini sul porto di Pescara, anticamente Aternum.
- nel territorio dei Vestini Cismontani erano presenti Aufinum (situata in prossimità del comune di Capestrano), Aveia (Fossa), Peltuinum (Prata d'Ansidonia) e Prifernum (Forno di Assergi, frazione dell'Aquila).
In età più tarda, quando erano ormai soggetti alla dominazione romana, i Vestini erano elencati da Plinio il Vecchio tra le popolazioni della Regio IV Samnium[8].
I Vestini, insieme ai Marsi, ai Marrucini e ai Peligni, presero parte a una confederazione contro cui i Romani entrarono in conflitto durante la Seconda guerra sannitica, nel 325 a.C. Proprio l'alleanza dei Vestini con i Sanniti indusse i consoli romani Decimo Giunio Bruto Sceva e Lucio Furio Camillo a porre al Senato all'ordine del giorno la questione di una spedizione puntiva contro di loro. Secondo Tito Livio si trattò di una mossa audace, poiché fino a quel momento i Vestini non avevano minacciato direttamente la Repubblica e anzi una campagna contro di loro avrebbe potuto indurre a una sollevazione; inoltre, un attacco ai Vestini avrebbe probabilmente comportato l'accorrere in loro aiuto dei vicini Marsi, Marrucini e Peligni, una concentrazione di forze pari a quella degli stessi Sanniti. Roma si risolse comunque ad agire e incaricò della spedizione Bruto, che devastò le campagne degli Italici per costringerli a scendere in battaglia in campo aperto; lo scontro fu sanguinoso e anche l'esercito romano subì gravi perdite, ma i nemici furono costretti ad abbandonare i loro accampamenti e a trincerarsi nelle loro cittadelle. Bruto assediò allora prima Cutina, che espugnò grazie all'uso di scale, poi Cingilia (Civitella Casanova). Cadde anch'essa, e il bottino fu distribuito fra i soldati romani[9]. La facilità con la quale un solo troncone dell'esercito romano (l'altro, affidato a Lucio Furio, era stato inviato contro i Sanniti[9]) sbaragliò i Vestini mostra come la loro fama di grandi combattenti fosse in realtà sproporzionata alla reale efficacia bellica del popolo[10].
Nel 304 a.C., dopo la grave disfatta subita dagli Equi per opera dei Romani guidati dai consoli Publio Sempronio Sofo e Publio Sulpicio Saverrione, i vicini dei Vestini - Marsi, Peligni, Marrucini e Frentani, inviarono ambasciatori a Roma per chiedere un'alleanza, che fu loro concessa attraverso un trattato[11]. Con i Vestini invece l'accordo fu siglato soltanto due anni dopo, nel 302 a.C.[12]., a riprova della loro peculiare ostilità nei confronti di Roma[13].
La romanizzazione dei Vestini fu graduale. Dopo il trattato del 302 a.C., le loro città di Aveia e Peltuinum furono semplicemente annesse alla Repubblica romana[14].
Combatterono poi al fianco di Roma alla Seconda guerra punica partecipando nel 225 a.C. a un contingente di cavalleria di quattromila armati insieme a Marrucini, Frentani e Marsi[15].
Nel 168 a.C. una coorte di Vestini combatté all'ala destra dell'esercito romano nella battaglia di Pidna, che si risolse nella disfatta dell'esercito macedone del re Perseo.
Agli inizi del I secolo a.C., i Vestini presero parte alla vasta coalizione di popoli italici che scatenò la Guerra sociale per ottenere la concessione della cittadinanza romana più volte negata (91–88 a.C.).[16] L'esercito italico, ripartito in due tronconi – uno sabellico guidato dal marso Quinto Poppedio Silone, l'altro sannitico affidato a Gaio Papio Mutilo[17] – contava contingenti di numerosi popoli; quello vestino era guidato da Gaio Pontidio.[18] Poppedio, alla testa di Marsi e Vestini, tese un'imboscata vincente nella quale cadde il romano Quinto Servilio Cepione il Giovane (90 a.C.)[19], ma infine i Vestini vennero battuti separatamente da Gneo Pompeo Strabone, nel quadro della generale vittoria di Roma sui socii ribelli, culminata con la presa di Ascoli da parte di Pompeo.[20]
Dopo la Guerra sociale la Lex Julia de civitate, che concedeva la cittadinanza romana a tutti gli Italici rimasti fedeli a Roma, fu progressivamente estesa anche ai popoli ribelli, tra i quali i Vestini. I loro territori furono intensamente colonizzati, soprattutto nell'epoca di Silla; a partire da allora la romanizzazione degli Italici si avviò rapidamente a compimento, come attesta la rapida scomparsa delle loro lingue, sostituite dal latino.[21]
I centri vestini avevano un'organizzazione molto rigida: i centri maggiori venivano chiamati dalle fonti in lingua latina pagus, mentre i centri di minore importanza erano chiamati vicus se erano di campagna, castellum se erano di montagna[senza fonte].
I Vestini divennero famosi per la loro abilità nel combattimento[10]; nelle epoche successive, infatti, prestarono la loro opera di guerrieri anche a pagamento. Popolo aperto e sempre a contatto con altre popolazioni, basava la propria economia sulla pastorizia, sull'agricoltura e sul commercio[senza fonte]. Coniarono monete proprie, del tipo aes grave, contrassegnate con le tre lettere VES[22].
Il vestino è documentato da appena due iscrizioni, una delle quali si trova sul Guerriero di Capestrano[23]. A causa di tale esiguità di testimonianze, non è stato possibile accertare se fosse più vicino all'osco, come il marrucino e il peligno, o all'umbro, come il marso e il volsco[24], ma soltanto la sua indubbia appartenenza alla famiglia osco-umbra.