Il nome deriva dalla presenza di telefoni di colore bianco nelle sequenze dei primi film prodotti in questo periodo, sintomatica di benessere sociale: uno status symbol atto a marcare la differenza dai telefoni "popolari" in bachelite, più economici e dunque maggiormente diffusi, che invece erano di colore nero. Altra definizione data a questi film è cinema déco per la forte presenza di oggetti di arredamento che richiamano lo stile internazionale déco, in voga in quegli anni.
Parte della critica in anni più recenti la definisce anche commedia all'ungherese, perché, nonostante siano produzioni italiane, i soggetti e le sceneggiature di questi film sono spesso attinti da autori teatrali ungheresi, molto di moda in quel periodo storico; tali film erano spesso ambientati in stati immaginari dell'est europeo per ragioni censorie, in quanto argomento ricorrente di queste edulcorate commedie sentimentali era una minaccia di divorzio (all'epoca illegale in Italia) oppure d'adulterio (allora perseguibile come reato contro la morale).
Il cinema dei telefoni bianchi è nato dal successo della commedia cinematografica italiana dei primi anni trenta: ne fu una versione più leggera, mondata da eventuali intellettualismi o velate critiche sociali.
Mario Camerini e Alessandro Blasetti rappresentarono la decisa autorialità nascente della nuova cinematografia fondata sull'emblematica frase mussolinianaIl cinema è l'arma più forte!; ma Camerini, al contrario del suo ben più impegnato collega e intellettuale del fascismo, si concentrò su un cinema semmai "coraggioso" per l'epoca in oggetto, che si proponeva di parlare della società italiana dell'epoca.
L'origine "nobile" dei "telefoni bianchi" viene comunemente trovata quindi nel cinema di Camerini già a partire dal cinefilo Rotaie (1929), nel quale il regista fotografò - con riverberi di cinema espressionistatedesco o citando le avanguardie cinematografiche sovietiche contemporanee - la realtà degli anni di crisi, in tempo reale; ciò era generalmente rischioso perché l'autore poteva incappare - più o meno involontariamente - nella rampogna del regime, anche se l'ambiente del cinematografo fascista parve essere tollerante, con molti distinguo, e "aperto" anche a intellettuali non proprio organici al PNF. Successivamente nel film Gli uomini, che mascalzoni..., del 1932, Camerini percorse una Milano rinnovata nell'aspetto: la moda, i mezzi di trasporto e molti altri oggetti divennero i simboli di un'epoca in divenire.
La borghesia, la piccola borghesia e un "fortunato" proletariato urbano furono ben rappresentati e descritti nei film di Camerini: si propose così un modello rinnovato, o nuovo del tutto, possibilmente da imitare, dedicato al pubblico popolare stesso, che affollava le sale cinematografiche. Ma il tentativo d'imborghesimento o la sua emulazione da parte del popolo, punto di forza nei film dei telefoni bianchi, in queste due opere di Camerini era visto con un occhio non proprio tenero, non era, quindi, la meta da invidiare; ci fu invece un'apoteosi del lavoro quale mezzo del riscatto sociale, che si trova nel finale morale del già citato Rotaie (a ciò sarà speculare, nel dopoguerra, l'inanità della borghesia, sezionata sotto l'occhio critico di Michelangelo Antonioni). Ma con Gli uomini, che mascalzoni... si offrì al pubblico anche divertimento e spensieratezza; ripropose anche un divismo in chiave aggiornata.
La produzione dei cosiddetti telefoni bianchi o cinema Decò descrive gli anni trenta e i primi quaranta attraverso gli arredamenti degli ambienti, oltre alle già dette moda e costume. L'epoca traspare dai particolari: gli oggetti ci fanno capire e datare con verosimiglianza l'epoca storica e l'ambientazione del film. Generalmente è resa manifesta la diffusione, almeno nelle città, del "prodotto di qualità", cioè non quello fatto a mano, bensì avanzano le proposte industriali di massa, i prodotti fatti in serie.
Il funzionalismo del Bauhaus arrivò anche in Italia e, come riscontrabile in queste pellicole, vi fu riflessa un'Italia che stava "ricostruendo" una propria immagine moderna ed efficiente ed in cui iniziava timidamente a diffondersi la società dei consumi; si sentiva rappresentata dallo stile architettonico razionalista e dal fermento industriale che il regime stesso promuoveva; in questi film leggeri si respirava un fascino che intravedeva speranza nel futuro, un futuro ad ampio respiro e non necessariamente relegato ad una (dapprima imminente e poi piena) Seconda Guerra mondiale.
L'ambientazione borghese si rifece esteticamente alle commedie cinematografiche statunitensi, in particolar modo a Frank Capra. Le speranze dei piccolo-borghesi non poterono che divenire realtà: film come Mille lire al mese, così come l'omonima canzone, passarono alla storia per la loro esplicita spensieratezza ed evocazione altrettanto irriverente. L'elemento melodico ritornava spesso a far capolino, molti tra questi film contenevano infatti almeno una canzone di successo (basti pensare alla celeberrima Parlami d'amore Mariù composta per il film Gli uomini, che mascalzoni... divenuta poi molto più famosa della pellicola stessa).
Tale rappresentazione di benessere e progresso era però ben lontana dalla realtà italiana di allora; la rappresentazione di una società benestante (in alcuni casi anche opulenta), progredita, emancipata ed istruita era enormemente contrastante con la situazione reale dell'Italia, la quale, a quell'epoca, era invece un Paese sostanzialmente povero, materialmente e moralmente arretrato e con la maggior parte della popolazione analfabeta, così come anche l'atmosfera entusiasta, allegra e spensierata di queste pellicole appariva cozzante con la cupa situazione della nazione, soggiogata dalla dittatura fascista e che da lì a poco sarebbe entrata in guerra.
Ben presto i soggetti cominciarono a diventare ripetitivi e ovviamente sempre più scontati, prevedibili e banali; in seguito, con l'aggravarsi del conflitto, la produzione di questo filone divenne sempre più rada e discontinua fino a scomparire del tutto con il crollo del regime fascista, anche se nel filone decò rientrano anche alcune opere girate nel Cinevillaggio di Venezia durante la RSI, come ad esempio Fiori d'arancio, di Hobbes Dino Cecchini con Luigi Tosi ed Andreina Carli.
Scadenza trenta giorni e Fiori d'arancio sono stati girati a Venezia negli stabilimenti del Cinevillaggio durante la RSI (il secondo arrivò nelle sale cinematografiche soltanto nel 1947).