La cucina futurista è un tipo di cucina sviluppata all'inizio del Novecento che si legava alle idee del futurismo[1].
Ultima delle «grandi battaglie artistiche e politiche spesso consacrate col sangue» di Marinetti & C., tale cucina, considerata come la lotta contro l'«alimento amidaceo» (cioè la pastasciutta), colpevole di ingenerare negli assuefatti consumatori «fiacchezza, pessimismo, inattività nostalgica e neutralismo», prende le mosse da una cena al ristorante milanese «Penna d'oca» (15 novembre 1930). Al termine, Marinetti preannuncia il Manifesto della cucina futurista[2], che sarà pubblicato su Comœdia il 15 gennaio 1931.
Precursore della cucina futurista è però il cuoco francese Jules Maincave, che nel 1914 aderisce al futurismo. Annoiato dai «metodi tradizionali delle mescolanze», a suo dire «monotoni sino alla stupidità», Maincave si ripropone di «avvicinare elementi oggi separati da prevenzioni senza serio fondamento»: filetto di montone e salsa di gamberi, noce di vitello e assenzio, banana e groviera, aringa e gelatina di fragola.
Oltre all'eliminazione della pastasciutta, il Manifesto - di pugno di Marinetti - predica l'abolizione della forchetta e del coltello, dei condimenti tradizionali, del peso e del volume degli alimenti e della politica a tavola; auspica la creazione di «bocconi simultaneisti e cangianti», invita i chimici ad inventare nuovi sapori e incoraggia l'accostamento ai piatti di musiche, poesie e profumi.
Al lancio del Manifesto segue una folta serie di conferenze e banchetti futuristi in Italia e in Francia, l'inaugurazione della taverna «Santopalato» e finalmente, nel 1932, la pubblicazione del libro La cucina futurista di Marinetti e Fillìa.
Balza agli occhi, insieme con il patente gusto goliardico, la sostanza letteraria, libresca e perfino antiquaria (nel recupero, per esempio, del gusto dolce-salato come nel carneplastico) dell'offensiva gastronomica futurista. Spensierato e caotico guazzabuglio di timide e spesso pleonastiche variazioni su ricette del tutto tradizionali, di innovazioni più di forma che di sostanza, di suggestioni esotiche e di vere e proprie freddure, la cucina futurista si riscatta quando propone piatti programmaticamente incommestibili, assemblati con la tecnica dadaista del «cadavere squisito».
I futuristi si impegnarono anche a italianizzare alcuni termini di origine straniera, il cocktail divenne così la polibibita (che si poteva ordinare al quisibeve e non al bar); analogamente, il sandwich prese il nome di tramezzino, il dessert di peralzarsi e il picnic di pranzoalsole.
In una serata torinese della primavera del 1931, tra proclami di squadrismo e discussioni sul fascismo, un gruppo di aeropittori, aeroscultori e poeti tutti facenti parte della "dottrina" futurista, sviluppò all'interno d'un ristorante (rinominato in seguito dallo stesso Marinetti "Taverna Santopalato") la prima cena futurista di cui si abbia notizia. La taverna è considerata il tempio della cucina futurista. I menù erano abbelliti da illustrazioni di vari artisti, tra i quali Medardo Rosso e Fillìa.
Aperta e gestita da Angelo Giachino, arredata dall'architetto Nicolay Diulgheroff e decorata dall'aeropittore Luigi Colombo, venne inaugurata l'8 marzo 1931 con un pranzo di quattordici portate. Durante il pranzo vennero serviti, tra gli altri: l'Antipasto intuitivo, il Brodo solare, il Mare d'Italia e il Pollofiat e il Carneplastico. Quest'ultimo è il più noto dei piatti della cucina futurista.
La ricetta, che in gergo futurista si chiama formula, è dell'«aeropittore» Fillia. Definito sbrigativamente da Alfredo Panzini, nel suo Dizionario moderno, «polpettone dinamico-futurista», è un cilindro di carne di vitello ripieno di undici qualità di verdura, sostenuto da tre sfere di carne di pollo e da un anello di salsiccia, e coronato da uno strato di miele. Vuol essere - a detta dell'inventore - un'«interpretazione sintetica degli orti, dei giardini e dei pascoli d'Italia».
L'interesse dei futuristi per la cucina, nonostante si creda sia relativamente tardo (il movimento artistico era nato nel 1909) si appalesa nel 1913 con il "Manifeste de la cuisine futuriste" del cuoco francese Jules Maincave. Da allora gli esperimenti culinari futuristi hanno lasciato un segno nella storia della civiltà e della gastronomia internazionale e non solo per la stravaganza delle proposte degli artisti che si prestavano a vestire i panni di cuochi, ma anche per l'implicita volontà di equiparare la cucina alle arti più 'nobili', come la letteratura e le arti figurative (del resto Carlo Carrà, nel 1913, scrive proprio il "Manifesto della pittura di suoni rumori e odori"). Da allora gli chef più all'avanguardia hanno osato sperimentare piatti che declinavano per la loro mise en place sempre più verso l'opera d'arte che privilegiare il sapore.
Mike Patton, leader del gruppo musicale americano Faith No More, si è ispirato all'opera di Marinetti Cucina futurista per comporre il suo secondo album da solista, Pranzo Oltranzista, del 1997.
Mattia Casalegno, artista visivo napoletano, si e inspirato al Manifesto della Cucina Futurista per sua opera di Realtà Virtuale e Realtà Aumentata "Aerobanquets RMX"[3][4].
A oggi, a parte le ricerche fondamentali del musicologo Daniele Lombardi, l'ultima opera legata alla sperimentazione musicale futurista che celebra la gastronomia del movimento marinettiano è contenuta nell'album Marciare non Marcire del compositore Livio D'Amico. Il compositore milanese rendendo omaggio a Marinetti e ai musicisti futuristi ha dedicato "La cucina futurista" a questo momento culturale del Novecento.