Giuseppe Venanzio Marvuglia (Palermo, 6 febbraio 1729 – Palermo, 19 dicembre 1814) è stato un architetto italiano.
La sua opera rappresenta il momento di passaggio tra il tardo barocco e il neoclassicismo europeo nella cultura architettonica della Sicilia, arrivando, nell'ultimo periodo della sua attività, a degli esiti eclettici.
Figlio di un capomastro, dopo una prima formazione nella sua città natale, che si dice avvenuta con il matematico e architetto palermitano Niccolò Cento, si recò, tra il 1755 e il 1759[1], a studiare architettura a Roma.
Suo mentore a Roma fu Carlo Marchionni che lo introdusse all'Accademia di San Luca, dove nel 1758 vinse il secondo premio del prestigioso Concorso Clementino, con il progetto di un edificio a cupola che ricorda il Pantheon, ma con caratteristiche barocche nelle sue colonne e statue.
A Roma ha modo di entrare in contatto con i nuovi fermenti neoclassici dovuti alla presenza dei giovani architetti dell'Accademia francese e all'influenza culturale dell'architetto Johann Joachim Winckelmann, che proprio in quegli anni manifesta il suo interesse per le superstiti architetture doriche di Paestum e della Sicilia.
Tra il 1759 e il 1760 torna a Palermo, lavorando alla ricostruzione del Monastero di San Martino delle Scale, in uno stile ancora barocco, seppure molto semplificato rispetto alle caratteristiche tipiche del Barocco siciliano.
Già nel 1763, nel progetto dell'Oratorio di San Filippo Neri, rivela la sua tendenza classica e la conoscenza dell'architettura dorica isolana. In effetti nelle sue opere, fin dagli esordi, Marvuglia adotta un classicismo semplificato, arrivando però di rado ad applicare totalmente il nuovo linguaggio neoclassico, forse per la scarsa ricettività dell'ambiente siciliano. Uno dei suoi riferimenti più importanti e costanti fu l'opera di Palladio che consentiva di muoversi comunque nell'ambito della tradizione classicista, ma con intonazioni nuove per la Sicilia.
La sua fu comunque una carriera di successo e lavorò sia per l'élite aristocratica con progetti per palazzi urbani e ville suburbane, che per le autorità cittadine (nel 1789 venne eletto architetto del Senato) e per la corte (nella sua qualità di "architetto dei real siti di campagna", ideò la palazzina di Ficuzza e la Casina cinese alla Favorita).
A Palermo ebbe modo di conoscere l'architetto francese Léon Dufourny che la storiografia corrente indica come il primo a introdurre il neoclassicismo in Sicilia, o quanto meno di aver rappresentato l'elemento catalizzatore di fermenti culturali già presenti e di cui Marvuglia era ben consapevole. Con egli ebbe modo di collaborare alla realizzazione dell'Orto botanico di Palermo, nel cui cantiere subentrerà dopo la partenza nel 1793 dell'architetto francese, probabilmente progettando i padiglioni laterali del calidario e del frigidario. Con Dufourny condivise l'interesse e lo studio per i templi greci della Sicilia. L'architetto francese apprezzò molto l'opera del Marvuglia e in particolare i progetti per i palazzi urbani che pensò di inserire nella sua progettata opera sull'architettura siciliana che non fu mai pubblicata. Su interessamento dell'amico Dufourny, Marvuglia, nel 1805, fu nominato membro straniero dell'Institute de France. Lo stesso interesse per l'opera di Marvuglia manifestò, nel suo viaggio in Sicilia, Jakob Ignaz Hittorff, allievo di Dufourny, tanto da pubblicare i progetti dei palazzi palermitani nella sua opera Architecture moderne de la Sicile (1835), a cui seguì un lungo silenzio storiografico, durato fino a tempi recenti[2].
Insegnò anche presso l'Accademia degli Studi di Palermo (poi Regia Università) dal 1780 al 1805 dove è titolare della cattedra di “Geometria pratica, architettura civile e idraulica” che viene fondata all'interno della Facoltà Filosofica nel 1779. Marvuglia ebbe il merito di avere costruito una “scuola” nel moderno senso accademico del termine. Il suo biografo Giuseppe Bozzo ricorda fra gli allievi diretti: Nicolò Puglia, Giovanni Emanuele Incardona, Domenico Marabitti, Vincenzo Di Martino e il figlio Alessandro Emanuele Marvuglia (1771-1845), che risulta forse il più interessante degli allievi e che seguì lavori in molte delle architetture progettate dal padre, succedendogli nella cattedra di architettura civile[3]. A.E. Marvuglia, fu, a sua volta, il maestro dell'architetto Emmanuele Palazzotto, anche per i rapporti professionali che avevano legato in precedenza il padre di Emmanuele, Salvatore Palazzotto, e Giuseppe Venanzio. Questa è la probabile ragione per cui molti disegni di G.V. Marvuglia sono confluiti nello studio degli architetti Palazzotto e si sono conservati fino ad oggi, dopo oltre 250 anni senza subire la naturale dispersione, nell'Archivio Palazzotto di Palermo.[4] Collaboratore in alcuni progetti fu anche il fratello Salvatore Marvuglia, sacerdote, matematico e architetto.
Nel 1808 Marvuglia sovraintese alla costruzione del Teatro Marittimo di Messina, dopo che l'originaria costruzione del periodo manierista era andata distrutta nel terremoto del 1783. La Palazzata era costituita da una cortina di imponenti edifici scanditi da un monumentale colonnato di ordine ionico e andò distrutta anch'essa, nel terremoto del 1908.
Muore il 19 dicembre 1814 e viene sepolto nella chiesa di Santa Maria di Gesù, oggi parte del cimitero di Santa Maria di Gesù di Palermo.[5]
Padre e figlio vengono ricordati nel pantheon palermitano, la chiesa di San Domenico, in un tondo scultoreo che li riunisce, opera dello scultore Rosolino Barbera.
Anche se gran parte del lavoro del Marvuglia fu nell'architettura civile, a lui sono attribuiti alcuni edifici religiosi:
Marvuglia progettò alcune ville suburbane per le famiglie aristocratiche palermitane:
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