Aerolinee Itavia | |
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Un Fokker F28 dell'Itavia all'Aeroporto di Ginevra-Cointrin nel 1974 | |
Stato | Italia |
Forma societaria | società per azioni |
Fondazione | 13 ottobre 1958 a Roma |
Fondata da | Giovanni Battista Caracciolo |
Chiusura | 31 luglio 1981 |
Sede principale | |
Controllate |
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Settore | Trasporto |
Prodotti | compagnia aerea |
Compagnia aerea regionale | |
Codice IATA | IH |
Codice ICAO | IHS |
Indicativo di chiamata | ITAVIA |
Ultimo volo | 10 dicembre 1980 |
Hub | Roma Ciampino |
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L'Itavia (Aerolinee Itavia S.p.a.) è stata una compagnia aerea italiana fondata nel 1958 e operativa fino al 1981, quando fu posta dapprima in amministrazione straordinaria con un decreto ministeriale del 31 luglio 1981 e successivamente in liquidazione dal 1983[1]. Da quel momento ha cessato di possedere sede, mezzi o personale. Per ragioni di contenzioso, però, la società ha continuato formalmente a esistere, venendo successivamente posta nuovamente in amministrazione straordinaria nel 2019[2][3], in attesa della definizione delle diverse cause in corso. Il suo marchio (la scritta Itavia in caratteri stampatello maiuscoli, sovrastata dalla scritta "Aerolinee" e dalla forma stilizzata di un'ala) non è più stato utilizzato nel settore del trasporto aereo passeggeri.
Divenne nota soprattutto in seguito all'incidente occorso il 27 giugno 1980, quando un suo aereo cadde in mare nei pressi di Ustica e di cui, a decenni di distanza, vari aspetti non sono ancora chiariti in maniera compiuta, a partire dalla dinamica stessa[4]. La compagnia, già pesantemente indebitata prima dell'incidente[5][6], cessò di fatto le operazioni il 10 dicembre 1980 e due giorni dopo le fu revocata la licenza di operatore aereo[5]; al 2020 risulta ancora esistente, gestita da tre commissari straordinari e con sede legale a Roma[7][8]. L'azienda fu posta in amministrazione controllata, con i conti in rosso, previa revoca della licenza di operatore aereo e conseguentemente un migliaio di dipendenti restarono senza lavoro. Probabilmente anche la conclusione peritale in merito ai motivi del disastro influì sulla decisione di chiudere la società. All'Itavia saranno infine corrisposti 108 milioni di euro, a risarcimento delle deficienze dello Stato Italiano nel garantire la sicurezza dell'aerovia su cui volava il DC-9[9].
La compagnia venne fondata il 13 ottobre 1958 con il nome di Società di Navigazione Aerea Itavia, con base operativa presso l'aeroporto di Roma-Urbe, con azionisti Luigi Petrignani, Maria Donati e Carlo Mancini[10]. L'attività regolare iniziò nel 1959 con un aereo de Havilland DH.104 Dove che fu sostituito da sei de Havilland DH.114 Heron nel corso dell'anno successivo[11].
L'anno successivo il 14 ottobre 1960, un Heron del volo Itavia Roma - Genova si schiantò sull'isola d'Elba. Questo episodio provocò l'interruzione dei collegamenti che ripresero solamente nel 1962, con il nuovo nome di Aerolinee Itavia e una piccola flotta di Douglas DC-3. Inoltre, la base operativa della compagnia fu trasferita presso l'aeroporto di Roma-Ciampino.
Nel frattempo, nel 1961, era entrato nella compagine azionaria anche Giovanni Battista Caracciolo. Verso la fine del 1965 entrano la famiglia Tudini e poi Aldo Davanzali, il quale riesce progressivamente a prendere il controllo dell'azienda.
I DC-3 furono rapidamente sostituiti dai più moderni turboelica inglesi Handley Page Dart Herald. Il passaggio ai jet avvenne nell'estate del 1969, quando l'Itavia ricevette in consegna alcuni Fokker F28 nuovi che vennero inseriti sulle rotte per Bologna, Torino e Ginevra.
Nel 1971 arrivarono i primi Douglas DC-9 e, grazie al progressivo ritiro degli Herald, verso la metà degli anni settanta l'Itavia poté contare su una flotta interamente composta di aerei a reazione. Nel 1972 la sede legale venne spostata a Catanzaro, in via Settembrini 8, onde poter beneficiare degli sgravi fiscali e delle agevolazioni previste dall'istituto Cassa per il Mezzogiorno a favore delle aziende operanti nel Meridione. La sede amministrativa e la direzione generale vennero invece dislocate in via Sicilia 43 a Roma.
Nonostante la scomoda posizione di concorrente interno della compagnia di bandiera Alitalia, Itavia ottenne una buona quota del mercato nelle rotte aeree nazionali. Questa attività era incrementata durante l'alta stagione da alcune rotte europee e da una consistente attività di voli a noleggio. In questi anni i dipendenti a libro paga dell'azienda crebbero fino al migliaio di unità[12][13].
L'attività della compagnia proseguì regolarmente senza note di rilievo sino a venerdì 27 giugno 1980, quando un suo DC-9, immatricolato I-TIGI, operante il volo IH 870 Bologna-Palermo, precipitò in circostanze oscure[14] al largo di Ustica.
Dopo la sciagura, la compagnia venne travolta dallo scandalo e accusata di scarsa manutenzione e di mancato rispetto delle regole di sicurezza a causa dell'ipotesi di cedimento strutturale dell'aeromobile come motivazione della strage, poi esclusa dalle successive indagini e sentenze.
Già prima della strage Itavia era tuttavia pesantemente indebitata e con alcuni velivoli sottoposti a ipoteca[15]: il disastro semplicemente ne accelerò la fine delle attività. I voli di linea regolari vennero sospesi il 10 dicembre 1980 e un mese dopo, nel gennaio 1981, il Ministro dei trasporti Rino Formica revocò la licenza di volo alla compagnia.
Il 14 aprile 1981 l'azienda venne dichiarata insolvente e il successivo 31 luglio il Ministero dell'industria, di concerto con il Ministero del tesoro, pose la società in amministrazione straordinaria[16]: flotta e personale di volo vennero assorbiti da Aermediterranea (società partecipata al 55% da Alitalia e al 45% da ATI)[17].
La società citò per comportamento omissivo il Ministero della difesa, il Ministero dei trasporti e il Ministero dell'interno il 31 marzo 1981, asserendo che la caduta dell'aereo fosse stata la causa scatenante della crisi economica e finanziaria che portò al suo fallimento. Secondo Itavia, infatti, il Ministero della difesa e quello dei trasporti non avrebbero controllato, vigilato e assicurato la sicurezza delle aerovie italiane, mentre quello dell'Interno non avrebbe svolto attività di prevenzione del terrorismo, propalando l'ipotesi della bomba a bordo.
Il Tribunale di Roma con sentenza 37714/2003 ha condannato in primo grado i Ministeri convenuti al risarcimento di 108,07 milioni di euro più interessi legali (dal 31.12.2000) e spese legali per un totale di 943.740 euro. La Prima Sezione Civile della Corte d'Appello di Roma il 13 marzo 2007 assolve i Ministeri con sentenza 1852/2007. L'11 febbraio 2009 la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione con sentenza 10285 ha disposto la ripetizione del processo di appello[18][19].
Nel gennaio 2013 la Cassazione in sede civile nella prima sentenza definitiva di condanna al risarcimento conferma che la strage di Ustica avvenne a causa di un missile e non di una esplosione interna al DC9 Itavia, e quindi condanna lo Stato Italiano a risarcire i familiari delle vittime per non aver garantito, con sufficienti controlli dei radar civili e militari, la sicurezza dei cieli. È la prima verità processuale dopo il nulla di fatto dei procedimenti penali.
Essendo comunque stata assodata in sede civile l'estraneità di Itavia alla vicenda della strage di Ustica (decade in via definitiva l'ipotesi di cedimento strutturale), nella Sentenza Ordinanza del giudice Priore al Capo 6, Capitolo VI[20] ma soprattutto a pagina 374 della Relazione di Minoranza dei componenti della Commissione Stragi Vincenzo Ruggero Manca, Alfredo Mantica, Enzo Fragalà e Marco Taradash[21] viene fornito un giudizio non molto positivo sulla gestione economico-finanziaria di Itavia: si precisa però che non sono mai scaturite inchieste giudiziarie su quanto contenuto nei due testi sopra riportati pertanto le considerazioni ivi espresse non sono mai state valutate tali da configurare alcun ipotesi di reato e/o responsabilità civile a carico di Itavia e dei suoi amministratori.
Il 22 ottobre 2013 la Corte di Cassazione, accolto il ricorso degli eredi Davanzali, dichiara «oramai consacrata» anche «nella giurisprudenza» della Cassazione la tesi «del missile sparato da aereo ignoto». Occorre dunque disporre un nuovo processo civile per valutare la responsabilità dei ministeri della difesa e dei trasporti nel fallimento dell'Itavia in quanto «definitivamente accertato» il depistaggio nelle indagini. La versione dell'abbattimento del DC9 su Ustica a mezzo di un missile venne ribadita nell'aprile 2015 da tribunale e procura di Palermo.
La flotta di aerei utilizzati dal 1959 al 1980:
Ai sensi dell'articolo 776 del codice della navigazione, venne concesso negli anni alla società Aerolinee Itavia S.p.A. l'esercizio di diversi servizi di trasporto aereo di linea con i seguenti provvedimenti:[22]
Infine, con decreto del Presidente della Repubblica del 24 maggio 1979, venivano concesse all'Itavia S.p.A. 53 rotte di servizio. La sospensione e la revoca della concessione per motivi di pubblico interesse sono previste dall'articolo 785 del codice della navigazione.[22]
Inoltre, il precedente articolo 784 prevede casi di decadenza con riferimento anche all'atto di concessione. Nel caso dell'Itavia, il provvedimento ministeriale fu originato da una formale dichiarazione della società che non era in grado di esercitare le linee già autorizzate ed attivate.[22]
Sono quattro gli incidenti con vittime che videro coinvolti velivoli della compagnia Itavia[senza fonte]:
Descrizione | Data | Vittime | Località | Note |
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Volo Itavia 115 Roma-Genova | 14 ottobre 1960 | 11 | Monte Capanne (Isola d'Elba) | [23] |
Volo Itavia 703 | 30 marzo 1963 | 8 | Balsorano | [24] |
Volo Itavia 897 | 1º gennaio 1974 | 38 | Caselle Torinese | [25] |
Volo Itavia 870 | 27 giugno 1980 | 81 | Mar Tirreno - Ustica | [26] |