Nato il 4 febbraio 1918 a Piasco, in provincia di Cuneo, da genitori entrambi originari della Valle d'Aosta, al confine con la Francia e non lontano dalla Svizzera, ebbe modo di vivere la cultura francofona, italiana e germanica come realtà prossime. Lettore instancabile, si interessò anche di autori ebraici, anglosassoni, russi e ispanici.[2]
Per la sua precocità, si fece notare dai più importanti filosofi del tempo, tra i quali Giovanni Gentile.
Allievo di Gioele Solari e Augusto Guzzo, si laureò con quest'ultimo in Filosofia all'Università degli Studi di Torino a soli ventun anni, nel 1939, con una tesi dal titolo Carlo Jaspers e la filosofia dell'esistenza, che poi venne pubblicata nel 1940 dall'editore Loffredo di Napoli.[3]
Fu accademico dei Lincei e membro dell'Institut international de philosophie, oltre che direttore della Rivista di estetica, succedendo a Luigi Stefanini che la fondò nel 1956 a Padova.
Cattolico, considerato tra i maggiori filosofi italiani del XX secolo, assieme a Nicola Abbagnano fu tra i primi a far conoscere in Italia l'esistenzialismo tedesco, facente capo principalmente ad Heidegger e Jaspers, e a riconoscersi in questa visione (La filosofia dell'esistenza e Carlo Jaspers, 1940), in un quadro dominato dal neoidealismo. Si dedicò anche a dare una nuova interpretazione dell'idealismo tedesco non più in chiave hegeliana (Fichte, 1950), individuando in Friedrich Schelling un precursore a cui l'esistenzialismo doveva la propria ascendenza, sostenendo che «gli esistenzialisti autentici, i soli veramente degni del nome, Heidegger, Jaspers e Marcel, si sono richiamati a Schelling o hanno inteso fare i conti con lui».[9]
Per Pareyson l'esistenzialismo tedesco andava ripreso in chiave ermeneutica: considerava la verità non un dato oggettivo, come avviene nella scienza, ma come interpretazione del singolo, che richiede una responsabilità soggettiva. Chiamava la propria posizione «personalismoontologico».[10]
Il suo percorso filosofico, da lui stesso sintetizzato,[11] ha attraversato principalmente tre fasi:[12]
una più propriamente esistenzialista, attestata cioè su un esistenzialismo personalistico, in dialogo con Kierkegaard, che riconosca come la comprensione di sé stessi è resa possibile solo dalla propria relazione con l'Altro;[13]
una seconda incentrata sull'ermeneutica, ossia nel farsi strumento di interpretazione della verità, volgendosi ad una comprensione ontologica delle condizioni inesauribili dell'esistenza, che ripercorrendo Heidegger si tramuta da angoscia del nulla in ascolto dell'Essere;[14]
l'ultima che si richiama a un'ontologia della libertà, più vicina a Schelling, ritenuto un filosofo talmente attuale da essere persino «post-heideggeriano», la cui interpretazione «può essere innovata a partire da Heidegger proprio perché Heidegger ha avuto Schelling all'origine del suo pensiero».[15]
Pareyson reinterpreta le tre fasi del suo pensiero alla luce del passaggio dalla filosofia negativa a quella positiva di Schelling, ossia il momento in cui la ragione, prendendo atto della propria nullità, si apriva allo stupore dell'estasi, in una maniera non necessaria né automatica, bensì fondata su una libertà che non esclude tuttavia la continuità.[16] Solo ammettendo questa libertà si può approdare da una filosofia puramente critica, negativa, ad una comprensione dell'esistenza reale, oltre che della possibilità del male e della sofferenza.
«Il discorso sulla negatività non sarebbe affatto completo se non si parlasse della sofferenza, ma dato che la sofferenza è non solo negatività, ma è una tale svolta nella realtà che capovolge il negativo in positivo, [...] questo fa già parte di quella tragedia cosmoteandrica che è la vicenda universale.»
(Luigi Pareyson, Ontologia della libertà, Torino, Einaudi, 1995, p. 59)
Come in Schelling, pertanto, la libertà è un principio adialettico,[17] intesa quale "facoltà del bene e del male".[18]
L'uomo è l'autore del male, ma non ne è l'origine, che trova il suo primo radicamento in Dio,[20] il quale tuttavia ha scelto irreversibilmente il bene. La libertà dell'uomo invece è ancora esposta al male, e alla possibilità di introdurlo nel mondo.
Pareyson contesta la filosofia e la teologia tradizionali che riducono il male a mero non-essere, mancanza e privatio boni («privazione di bene»), finendo col negarne il peso e la realtà storica.[18]
Anche il male infatti, nella sua scandalosità storica, trae da Dio il fatto di essere un momento positivo di distruzione, funzionale al bene.[3]
Secondo Pareyson Dio è Libertà, essendo avulso da qualsiasi necessità, assolutamente sovrano e padrone dell'essere. Il biblico Io sono colui che sono è interpretato come un «Io sono chi voglio essere». Dall'eternità Dio ha compiuto una scelta libera e irreversibile a favore dell'essere, che si identifica col bene e la positività. L'alternativa scartata una volta per sempre non era compiere il male, ma semplicemente non-essere, che si identifica col male, il nulla e la negatività.[21]
Quando Dio pone se stesso, avviene in Lui uno sdoppiamento tra il porsi in Essere e il Dio che in origine è al di sopra dell'essere.[22] In tal senso il Dio di Pareyson è simile all'Uno di Plotino che dall'eternità esce fuori da sé in uno stato di estasi, sdoppiandosi e diventando Uno-che-è.[23]
Se da un lato «Dio è luce e in lui non ci sono tenebre»,[25] Pareyson teorizza però l'esistenza di un lato oscuro di Dio nel quale il nulla, il male e la negatività permangono sempre come aufheben, come mera possibilità seppure scartata sin dall'eternità con la scelta di essere. Come nell'Uno plotiniano, in Dio coesistono i contrari in una misteriosa, armonica e indissolubile unità: essere e non-essere, bene e male, positivo e negativo.
In Pareyson è anche diversa la concezione della prescienza divina rispetto alla teologia tradizionale.[21] Dio per lui, pur vivendo in una dimensione atemporale, conosce le scelte e gli eventi del mondo soltanto mentre si verificano, non prima che avvengano.[21]
^(FR) Conversazioni sull'estetica, su actualitte.com. URL consultato il 1º febbraio 2024 (archiviato dall'url originale il 26 gennaio 2024).
^ Luciano Regolo, A Torino Gadamer ricorda Pareyson, su ricerca.repubblica.it, Repubblica, 16 marzo 1993. URL consultato il 14 giugno 2011.
^Cfr. Federico Guglielmo Giuseppe Schelling, in «Grande antologia filosofica», Vol. XVIII, Milano, Marzorati, 1971, p. 56.
^Palma Sgreccia, Il pensiero di Luigi Pareyson: una filosofia della libertà e della sofferenza, Milano, Vita e Pensiero, 2006, p. 19 e segg.
^Egli stesso offrì un'interpretazione del proprio percorso filosofico nell'introduzione alla quarta edizione di Esistenza e persona, pubblicata nel 1985.
^Francesco Tomatis, Escatologia della negazione, Roma, Città Nuova Editrice, 1999, p. 97.
^L. Pareyson, cit. in: Roselena Di Napoli, Il problema del male nella filosofia di Luigi Pareyson, Roma, Editrice Pontificia Università Gregoriana, 2000, p. 130.
^Isaia 45:7, su La Parola - La Sacra Bibbia in italiano in Internet.
^Infatti, Isaia 45:7[19] afferma: "ego Dominus, faciens pacem et creans malum”. In altre parole, solo Dio ha facoltà di creare sia il bene che il male. Egli ha discriminato dall'eternità,
^L'Essere-Bene è frutto cioè di una scelta libera dell'Uno di darsi l'esistenza, è uno sdoppiamento che è altro dall'Uno.
^ Pareyson non esplicita se questo Dio, prima dell'autoposizione di Sé nell'essere, fosse indicibile, ineffabile e inesprimibile, vale a dire oggetto di una sola possibile teologia negativa.
^1Gv 1:5, su La Parola - La Sacra Bibbia in italiano in Internet.
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